sabato 12 febbraio 2011

Popcorn: The Green Hornet




Ci sono 2 modi per adattare un fumetto al cinema: o vai sul realismo, cercando di rendere effettivamente credibile che un uomo si costruisca una macchina, un costume e dei gadget per combattere il crimine, e riesca nel suo intento. Oppure, lasci che quella patina di colori smargiassi e un po' kitsch delle pagine dei comics finisca anche sulla pellicola, partendo dal presupposto che l'eroe vince sempre e che non sia la storia da raccontare il problema, ma il modo più appariscente e unico per realizzarla.
Io non ho mai letto nulla del Calabrone Verde, ma il film di Gondry si stacca dal filone iper realistico dei cinecomics attuali (dai Batman di Nolan fino ai primi 2 Spiderman, volendo), strizzando più l'occhio alla pomposità caciarona di Iron Man e del Batman di Adam West, tutto POW! e BANG!
Il problema è che Seth Rogen non è Robert Downey Jr.
Così, se l'uomo di latta ha dei missili nucleari nelle mani, Green Hornet ha una pistola "sparascorregge" (sic!) nella fondina; se Tony Stark è un fighissimo playboy con il gusto per il sarcasmo, Britt Reid è un cazzone, sì miliardario, ma un po' sovrappeso, stupido e con il cervello di un chihuaha.
Ma dato che il mondo ha bisogno di eroi, essendo il protagonista un ritardato, su chi puntare? Sulla spalla, ovvio.
Il Kato di Jay Chou (pare sia un noto cantante pop dalle parti di Hong Kong) è un genio della meccanica, della chimica, delle arti marziali e fa un cappuccino della madonna.
Facendo al contempo da mentore, spalla e vero eroe, l'autista cinese diventa di fatto la vera star del film, con il merito (o demerito?) di instillare nello spettatore un sentimento di odio profondo verso il Cazzone Verde.
Ma non c'è cinefumetto senza un villain degno di nota.
Ora, se l'eroe è un cerebroleso, cocciuto idiota, come volete che sia il cattivo?
Prendete il fighissimo Hans Landa di Bastardi Senza Gloria, vestitelo da tamarro, stampategli in bocca un insopportabile accento russo, dategli una pistola più grande della sua testa, shakerate per bene, ed eccovi Chudnovsky-Sanguinovsky.
Sì, ho scritto Sanguinovsky.
E no, non è un errore, è proprio così.
Illustrato il quadro generale, vi aspetta un'ora e 40 minuti di corse, scazzottate da saloon, esplosioni a tempesta, lezioni morali da favoletta, Cameron Diaz in un vestito che richiede notevoli capacità respiratorie per quanto è stretto, gag più o meno malriuscite, fino ai tanto agognati titoli di coda (che, a dire il vero, sono fatti bene).
Insomma, scorre (anche perchè non richiede chissà quale sforzo neuronale seguire la storia), ma, cercando di fare entrambe le cose, non appassiona nè diverte e si dimentica in fretta.
Peccato, Michel.
Ora torna alle sceneggiature di Charlie Kaufman, sù.




Voto 5

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