venerdì 25 marzo 2011

Dischi Del Mese: Marzo '11




Tanti pezzi grossi escono tra marzo ed aprile (toccherà a Strokes, Tv On The Radio e Foo Fighters tra poco), ma la copertina se la becca la fluente chioma di Caparezza, un artista che non mi ha mai fatto impazzire ma che ha sfornato un disco veramente notevole.


Beady Eye - Different Gear, Still Speeding: la solita diatriba tra i fratelli Gallagher ha portato, questa volta, a una rottura definitiva (?); così, il più antipatico dei 2 ha potuto finalmente coronare il suo sogno: formare una cover band dei Beatles. Scherzi a parte, i Beady Eye rafforzano il sapore di deja vu che accompagnava ogni ascolto degli Oasis. Ovviamente, essendo buono l'originale, la copia, pur non raggiungendo quei livelli, partorisce un album piacevole da ascoltare (Four Letter Word e Bring The Light, per esempio) ma inevitabilmente derivativo. E' paradossale poi che il pezzo migliore sia quello di stampo più Oasis-iano, cioè la ballatona finale The Morning Son? Voto 6

R.E.M. - Collapse Into Now: bravi. Ogni volta che esce un loro disco, c'è una sensazione di magone e di aleggiante rassegnazione, quasi a dire "Eh, ma tanto non torneranno mai più ai fasti di Out Of Time". Loro se ne fregano e tirano fuori un lavoro fresco, solare e che riprende le buone cose intraviste in Accelerate. Il gasato duetto con Peaches in Alligator_Aviator_Autopilot_Antimatter è la collaborazione più riuscita, meglio di Eddie Vedder (inspiegabilmente nascosto in It Happened Today) e di Patti Smith (un po' troppo standard in Blue). Nel mezzo, il classico singolo dei R.E.M. tutto arpeggi folk, un paio di ballads (non troppo riuscite) e il minuto e 44 secondi di That Someone Is You che diverte. Sia noi che, verosimilmente, Stipe e compagni. Voto 7-

Radiohead - The King Of Limbs: a proposito di fregarsene delle convenzioni. Sbucato dal nulla, il nuovo album dei Radiohead è l'ennesimo esperimento di Thom Yorke e soci sulla struttura canzone. Partono nervosi, come una marcia irregolare, in Bloom e Morning Mr. Magpie per poi tornare sulle orme di In Rainbows con Little By Little. Con Feral (abbastanza insignificante, a dire il vero), inizia un viaggio a ritroso dalle parti di Kid A/Amnesiac, in un tappeto onirico che ha la sua punta di diamante nella struggente Codex. Pare che la Separator conclusiva sia il preludio a una seconda parte, sempre in uscita nel 2011. Alla fine delle 8 tracce, rimane, in effetti, la sensazione di un lavoro monco, di cui è difficile comprendere la direzione. Per fortuna, il livello è sempre altissimo e ci si può consolare così. Voto 7

The Joy Formidable - The Big Roar: una botta de vita. Iniziare un album con una canzone da quasi 8 minuti significa avere le palle; a prescindere dal fatto che The Everchanging Spectrum Of A Lie sia il pezzo migliore del disco. Anche perchè stiamo parlando di un lavoro compatto, senza grossi cali, splendidamente furioso, con un gusto epico alla Arcade Fire, sporadici echi ambient. Il tutto guidato dalla splendida voce di Ritzy Brian e da un comparto strumentale da maestri. Tra crescendo, deflagrazioni improvvise e parentesi eighties un disco tutto adrenalina ad alto rischio di dipendenza. Voto 8

Caparezza - Il Sogno Eretico: come detto in apertura, non mi è mai piaciuto tantissimo. Ma con Il Sogno Eretico mi voglio sbilanciare: credo sia il suo capolavoro. Più che un disco, un' audiotragicommedia: la messa in scena del nostro paese, tra ipocrisie, macchiette, marchette, vecchi vizi e nuovi vezzi, dove l'eresia è l'unica via di fuga all'omologazione imperante.
Armato del suo solito (e zappiano) umorismo, Caparezza trova il tempo per spoilerare almeno 20 film in Kevin Spacey (brano geniale!), rispolverare un ottimo Tony Hadley degli Spandau Ballet in Goodbye Malinconia e schiumare autentica rabbia in Non Siete Stato Voi. Perchè un grande merito di questo album è che, laddove la musica non è sufficientemente potente, ci pensano i testi a dare maggior nerbo al singolo pezzo. Ne viene fuori un'opera appassionata, appassionante e capace di strappare più di una risata. Amara, ma pur sempre risata. Voto 8,5


Subsonica - Eden: anche loro non mi hanno mai fatto impazzire, se non per qualche singolo. Ma a differenza di Caparezza, questo Eden non mi fa ricredere; molto dubstep, tanti pezzi dall'andamento troppo lento e rarefatto con Benzina Ogoshi che sembra essere l'unica scossa di vita (oltre ad avere un bel testo autoreferenziale). Scivolano addosso e sono meno danzerecci del solito. Voto 5




giovedì 10 marzo 2011

Popcorn: L'Uomo Nell'Ombra




Quando si parla di Roman Polanski, è difficile capire dove finisce la vicenda personale dell'autore e dove inizia il distacco del racconto rispetto alla posizione del narratore. Specie in questo film, figlio delle vicissitudini recentemente vissute dal regista, che, di fatto, ha ultimato la post-produzione agli arresti domiciliari.
Riprendendo un romanzo di Robert Harris, il protagonista è un ghost-writer (malamente tradotto in italiano come "uomo nell'ombra"), interpretato da Ewan McGregor, cui viene affidato il compito di redigere l'autobiografia dell'ex primo ministro inglese Adam Lang (evidente copia-carbone di Tony Blair, ben tratteggiata da Pierce Brosnan).
Come ogni politico che (non) si rispetti, anche Lang ha i suoi scheletri nell'armadio: un'accusa pendente di crimini di guerra e contro l'umanità e la curiosa morte del precedente ghost-writer.
Così, il personaggio di McGregor (volutamente lasciato senza nome), inizia un viaggio a ritroso nel passato di Adam Lang, tra false verità, contraddizioni e favolette preconfezionate per gli elettori, in un sentiero che inevitabilmente andrà a congiungersi con quello del suo predecessore.
Polanski riprende lo stile hitchcockiano tanto caro fin dai tempi di Frantic e confeziona un thriller perfetto: il ghost-writer di Ewan McGregor è a tutti gli effetti un fantasma che si aggira invisibile prima tra le stanze del gelido rifugio dell'ex premier e poi per la spettrale isola, unico porto franco per l'ambiguo politico.
Con la maestria che gli è consueta, il regista polacco dosa la tensione mantenendola sempre a un livello subliminale, instillando nello spettatore una specie di costante preoccupazione per le sorti del giornalista, costretto a dover fronteggiare una minaccia che è, allo stesso tempo, latente ed evidente.
Fino ad arrivare al magnifico finale, emblematico e acme della tensione, finalmente liberata.
Ewan McGregor è eccellente nel rendere minimale e scarno il suo personaggio, coadiuvato da un cast che definire di contorno è quasi offensivo: Pierce Brosnan (che per me è il peggior 007 di tutti i tempi, beninteso) è abilissimo nel raffigurare l'ambiguità insita in ogni politico, Tom Wilkinson fa una piccola comparsa, ma sufficiente a rappresentare il Mefistofele di turno, e sono splendide, seppur per motivi diversi, Olivia Williams e la sempre strafiga Kim Cattrall.
Forse uno dei più bei thriller degli ultimi anni, attuale, teso, e magnificamente girato.
Sperando non sia l'ultimo film di Polanski...



Voto 8,5

martedì 8 marzo 2011

Luther - Stagione 1


Sono ormai arrivato alla conclusione che gli inglesi, in quanto a serie tv, siano ben più bravi dei cugini americani.
Il folle umorismo di Misfits raggiunge vette di acidità che in Californication vengono toccate ben poche volte (e parlo solo della prima stagione), l'orrore di Dead Set è molto più vero, cattivo e appassionante dello sbiadito adattamento di The Walking Dead su AMC e potrei continuare ancora.
Forse uno dei meriti è la scelta di condensare le storie in pochi episodi, non lo so, ma sta di fatto, che gli inglesi, ultimamente, stanno dando lezioni ai mangiaburger in fatto di serie tv.
Luther ne è ulteriore prova.
La premessa è semplice: John Luther è il classico poliziotto tanto brutale quanto geniale, la cui morale è messa alla prova dall'assunto che non sempre giustizia e legge vanno d'accordo.
La condotta che ne deriva è, ovviamente, fuori dagli schemi e rischiosa, per sè e per chi gli sta intorno.
Idris Elba è perfetto per un ruolo che sembra quasi essergli cucito addosso, tra scatti d'ira, atteggiamento da macho e intuizioni degne di Sherlock Holmes.
Eppure, per quanto il titolo faccia pensare all'assoluta focalizzazione sul detective, è impossibile non menzionare il personaggio interpretato da Ruth Wilson , come artefice di un'alchimia atipica e irresistibile allo stesso tempo, vero punto focale dello show.
La sua Alice Morgan è un genio dal QI spaventoso, totalmente amorale e terribilmente affascinante, tanto da calamitare l'attenzione dello spettatore, quasi più dello stesso Luther.
L'ambigua relazione tra il poliziotto e la criminale è, a mio parere, il vero centro nevralgico della serie, in grado di conferire al genere procedurale una trama orizzontale realmente portante e così difficile da attuare in questa tipologia di telefilm.
I 6 episodi muovono gradatamente le pedine principali verso il cliffhanger finale, intercalando casi di puntata appassionanti e intriganti, con grande attenzione per la componente psicologica di tutti i personaggi in scena.
Tale minuziosità, da parte degli sceneggiatori, è più che efficace nel rendere immediata la familiarizzazione dello spettatore con il teatro della vicenda e con tutti gli elementi che lo popolano.
A riprova del fatto che pochi episodi, se da un lato limitano le possibilità di chi scrive, dall'altro ne ottimizzano le risorse, con benefici narrativi e non.
Al pari di Misfits, poi, anche Luther si avvale di un utilizzo sapiente della musica (basterebbe l'opening con Paradise Circus dei Massive Attack), come ideale sottofondo per una Londra mai così livida e grigia.
Tra settembre e ottobre, è prevista la messa in onda di 2 megaepisodi (2 ore ciascuno) conclusivi.
Il tempo per recuperare questo gioiello crime lo avete tutto.


Voto 8+




lunedì 7 marzo 2011

Hublot


Come si evince dall'immagine, ultimamente mi annoio un po'.
Ed è proprio in questi momenti che mi lascio andare ad elucubrazioni prolisse, senza nè capo nè coda e dal potentissimo effetto sonnifero.
Stavo notando come tra blog, moleskine, facebook e persino gli avatar di MSN abbia a disposizione una quantità indefinita di mezzi attraverso cui esprimere quello che mi passa per la testa. (e per fortuna non ho Twitter, nè tantomeno mi attira)
Eppure, mi sembra ancora di riuscire a "comunicare me stesso" (concedetemi questo linguaggio da guru da 4 soldi) solo parzialmente.
Ma forse sono solo miei tormenti tardoadolescenziali, o la solita metereopatia in una giornata particolarmente plumbea, qui, a Palermo.
Lasciamo stare, và.
Meglio uscire.
Vi siete risparmiati uno sfogo verosimilmente chilometrico.

martedì 1 marzo 2011

Popcorn: The Social Network




Quando avevo letto che David Fincher era intenzionato a fare un film su Facebook, il mio primo pensiero è stato "E come cazzo si fa?"
Così.
Prendendo una sceneggiatura
(giustamente premiata agli Oscar) d'acciaio, veloce, brillante con punte di meraviglioso acido sarcasmo, aggiungendo un regista che sposa in pieno la modernità del tema trattato, mettendo in sottofondo una colonna sonora (anch'essa premiata di giustezza) ossessiva e incalzante e lasciando il resto nelle mani di Jesse Eisenberg e Andrew Garfield, due di cui in futuro sentiremo parlare.
The Social Network è un piccolo manuale di cinema, un orologio svizzero che spacca il secondo per precisione e perfezione. Un ritratto fedele della società attuale attraverso la lente d'ingrandimento più adatta per l'occasione: Facebook, il modo più veloce per "conoscere gente e scopare".
Fincher ha il pieno controllo delle diverse linee temporali su cui poggia l'impalcatura del film, e le giostra con la maestria e il tempismo di un thriller (non a caso, parliamo del regista di Zodiac e di Seven, che considero un capolavoro nel suo genere).
Mentre vengono mostrate le evoluzioni delle vicende processuali con Eduardo Saverin e i gemelli Winklevoss (bravissimi sia Andrew Garfield che lo "sdoppiato" Arnie Hammer), emerge un ritratto di Zuckerberg composito e sfaccettato, che solo superficialmente può fermarsi al nerd rancoroso che vuole prendersi una rivincita sull'ex fidanzata, l'amico figo e i club esclusivi di Harvard.
La ritrosia all'abbraccio, il non essere mai realmente integrato (fattore evidenziato anche dall'abbigliamento, sempre fuori contesto), la scena finale nella stanza di vetro, solo col suo notebook, sembrano quasi simboleggiare l'isolamento del genio, come prezzo da pagare per la sua creazione. Una sorta di contrappasso dantesco per uno che ha inventato un mezzo di comunicazione così potente da diventare strumento per rivoluzioni.
Proprio l'altro giorno, leggevo su Repubblica di un possibile scenario futuro in cui il genere umano si dividerà in 2 grandi categorie: chi crea e chi usufruisce.
I 50 miliardi, patrimonio stimato di Zuckerberg, sembrano una premessa aderente a questo scenario.
Che sia inquietante o meno, lasciamol
o decidere ai posteri.



Voto 9