mercoledì 30 giugno 2010

lunedì 28 giugno 2010

Swarowski e addio Mondiali




Come temevasi dimostrare, Marcello ha toppato.
Di brutto, però.
In un girone con la 31esima, 34esima e 78esima squadra del mondo, siamo riusciti ad arrivare ultimi: zero vittorie, due pareggi e una sconfitta.
E fino al giorno prima sfottevamo la Francia.
Non mi soffermo sullo scempio della partita, che è probabilmente la peggiore dell'Italia nella sua storia, ma mi chiedo in quale angolo sperduto del mondo andrà a nascondersi Lippi adesso.
Pur non avendo apprezzato tantissimo la squadra di Donadoni, ho trovato nauseante il gufaggio dell'attuale ex CT durante quell'Europeo 2008 che ci ha visti eliminati (dignitosamente) ai rigori dai campioni d'Europa in pectore (unica partita che la Spagna non ha vinto in quel torneo).
Lippi ha letteralmente scippato (con la complicità di Abete, detto anche "col cazzo che mi dimetto; non lo fa nessuno in Italia, e sono io l'unico fesso?") la Nazionale a Donadoni, di fatto bloccando il processo di restaurazione della squadra, ritornando ai senatori del 2006, e ri-boicottando i giocatori che, per antipatie personali, non sono degni di indossare l'azzurro (Ambrosini, Miccoli, Panucci, CASSANO and many others).
I risultati si sono visti.
Il rammarico aumenta per questi 2 anni (e un Mondiale) letteralmente buttati nel cesso.
Si riparte con Prandelli, allenatore che ho amato a Parma, e uomo degno di enorme stima e fiducia. Il reintegro di Cassano e Balotelli è il primo passo verso la ricostruzione; l'epurazione dei grandi vecchi il secondo; resta da sopperire ad un po' di penuria di giocatori d'alto livello negli altri reparti e speriamo che il neo CT sia capace e abbia qualche intuizione alla Gilardino ai tempi del Parma (a quello attuale, preferisco 100 volte Pazzini).
Ma dato che in fondo è di un gioco che stiamo parlando, ecco i miei convocati per la Nazionale!


Portieri: Sirigu, Buffon, Viviano.

Difensori: Chiellini, Bonucci, Ranocchia, Santon, Motta, De Ceglie, Gamberini, Antonini.

Centrocampisti: Aquilani, Pirlo, De Rossi, Poli, Montolivo, Marchisio, Palombo
, Maggio.

Attaccanti:
Pazzini, Borriello, Cassano, Balotelli, Quagliarella, Rossi.

lunedì 21 giugno 2010

Kiwi e Mondiali



E da bravo italiano non potevo esimermi dal mio parere di CT ipotetico.
Che partita demmerd.
Premessa: faccio parte di quel nonsoquanto% di italiani che quando Lippi è tornato sulla panchina azzurra ha pensato "no, di nuovo no".
Intendiamoci, sono grato a Marcellone per il titolo 2006 ma i ritorni (che siano calciatori o allenatori) in genere sono quasi sempre fallimentari, e finora l'andazzo sembra darmi ragione, anche se ovviamente spero di essere smentito giovedì con la Slovacchia.
Quando hanno formato i gironi, nonostante avessimo una squadra con un mix di vecchie glorie, giovani promettenti (ma incognite ad alto livello) e vere e proprie pippe (Camoranesi? Pepe? Quagliarella?), tutto sommato, ero ottimista sul passaggio, almeno, del primo turno. Ora me la fò addosso.
Leggevo sul giornale di ieri che, in sostanza, i neozelandesi che giocano a calcio sono quelli troppo scarsi per il rugby (cito un dato: 23000 professionisti contro 2 milioni in Italia); infatti, ieri sono spuntati dei colossi con un'abilità pedatoria pari quasi a quella di una donna e di cui il più basso è alto 1,94 (altro che Watussi).
Bene. Come ha giocato l'Italia per 95 minuti?
Cross (quando ne azzeccavano uno su dieci) in area per il colpitore di testa.
No, geniale.
Chiaramente Gilardino-fuscellino ce la poteva fare. (sto pentendomi di avere una pagina della Gazzetta col suo faccione ai tempi del Parma salvo allo spareggio)
O Iaquinta che da bravo attaccante entra in area sì e no 2 volte in tutta la partita (di cui una per battere il generosissimo rigore).
Insomma, il commento ideale allo scempio di ieri richiede in prestito un espressione di Ciccio Graziani.
"Ma come cazzo si fa, oh!?"
E ora pagellone.


Marchetti: 7 minuti e prende gol, senza colpe. Per il resto, è praticamente inoperoso. N.G.

Zambrotta: prima del Sudafrica confesso che mi sembrava uno dei più bolliti; invece, fa il suo con sgroppate vecchio stile, difende bene, cerca il gol ma viene murato da Smeltz dopo una bella azione. 6,5


Chiellini: è l'unico che, in quanto a fisico, potrebbe rivaleggiare con i kiwi, e in effetti ci riesce, al punto da sfiorare il gol in un paio di circostanze. 6

Cannavaro: che si incazzi o no (mitico litigio con Bisteccone Galeazzi), il gol è più responsabilità sua che di qualsiasi altro compagno (di reparto e non). Un passo indietro rispetto al match d'esordio, dove comunque non aveva incantato ai livelli di Germania 2006. 5,5

Criscito: propositivo ok, ma un po' confusionario. E ha sbagliato un quantitativo indecente di cross. Col suo dinamismo e i piedi di Grosso verrebbe fuori uno dei terzini più forti in circolazione: il Grosso del 2006, insomma. 5,5

De Rossi: meno trascinatore dell'esordio, ha il merito di conquistarsi il (generoso) rigore e di provare a tirare da fuori insieme a Montolivo. E' il vero leader della squadra, sia a parole che a fatti. Capitano ad honorem. 6,5

Montolivo: tutti invocano Pirlo (che, attenzione, è il mio giocatore preferito in assoluto), ma non mi sembra che il problema sia la mancanza di un regista, visto il rendimento del cocco di Prandelli. Imposta, contrasta e tira (lui più di tutti). Peccato veramente per quel palo. Poteva essere la molla per un'ulteriore salto. Ci aggrappiamo a lui e De Rossi. 6,5

Marchisio: letteralmente inventato trequartista da Lippi, con risultati sconcertanti. Spostato sulla sinistra nel 4-4-2 di ieri, non mostra miglioramenti di sorta. L'inizio è promettente ma sparisce in tempo record. Giusto sostituirlo, sbagliato metterlo dal primo minuto. 4

Pepe: nonostante lo ritenga troppo carente da un punto di vista tecnico, è innegabile che è uno dei più in forma, motivo per cui non capisco il cambio a fine primo tempo. Corre come un forsennato, certo, magari non con molto criterio, ma almeno tocca più palloni di Marchisio. 5,5

Iaquinta: anche lui grosso equivoco di Lippi. Non ho capito se è seconda punta o centrocampista avanzato d'appoggio, posto che io lo metterei prima punta. Segna il rigore e partecipa al confusionario assedio del secondo tempo 6

Gilardino: evanescente è dire poco. Sparisce al cospetto dei bestioni all white, "non ne piglia una giusta" (sempre per citare Maestro Graziani). Nell'unica cosa giusta che ho sentito dire a Dossena, è probabile che le prime punte, a questo Mondiale, segnino pochissimo, lavorando più per la squadra. Come fa uno che vola sempre a terra con qualsiasi difensore a fare questo lavoro? E dov'è Borriello? 3

Di Natale: entra e ci prova con un bel tiro da posizione defilata. Poi anche lui si confonde e sbaglia di tutto e di più. 5

Camoranesi: irritante, disastroso, inconcludente. Un tiro da lontano e amen. Io non lo voglio più vedere in campo. E' possibile? 2

Pazzini: in 30 minuti scarsi, spizza qualche pallone ma si allinea al grigiore circostante e capisce che non c'è una manovra degna di questo nome. 5,5

Lippi: formazione sbagliata, cambi sbagliati. (convocazioni sbagliate? quanto serviva un Balotelli o un Borriello in una partita come questa? ora che ha rispedito Cossu a casa, cerca il trequartista?)
Speriamo si svegli e li svegli. 3

domenica 20 giugno 2010

Rum Diary



What a waster, what a fuckin' waster. [cit.]

mercoledì 16 giugno 2010

Popcorn: Profondo Rosso



Precisazione: i primi film di Dario Argento che ho visto sono stati "L'uccello dalle piume di cristallo" e "Il gatto a nove code"; molto godibili (specie il secondo) nonostante mostrassero evidenti segni del tempo trascorso e una discreta linearità della trama.
Tuttavia, ad attenuante, c'era una resa visiva dell'orrore semplicemente magistrale; classico esempio è la scena iniziale del primo dei 2 film citati, esteticamente perfetta e turbante, allo stesso tempo.
Non ho visto altro della filmografia argentiana, ma penso di poter affermare che con Profondo Rosso si tocchino le vette del capolavoro.
Quadrato e perfetto in ogni sua componente, a partire dalla famigerata colonna sonora dei Goblin (che sarebbe ingeneroso ridurre al solito motivetto che compare quando lui fa l'ospite a Quelli che il calcio o altre vaccate) che è una perla di prog-rock, passando per un'ottima prova attoriale (nel cast c'era gente come Gabriele Lavia, David Hemmings di Blow Up, Daria Nicolodi...), una regia virtuosa e disturbante, finendo con, dulcis in fundo, una storia realmente intrigante.
Due ore di suspense finemente orchestrata e sapientemente alleggerita anche da un personaggio spettacolare com'è quello di Daria Nicolodi, la giornalista Gianna: credo che all'uscita del film sia diventata un'icona del femminismo italiano dell'epoca (parliamo degli anni '70) per l'intraprendenza e il sapore di libertà che traspirano da questa donna.
Dal canto suo, Hemmings interpreta un personaggio, che è figo di suo, con classe ed eleganza (il pianoforte lo suona davvero lui nelle varie scene) e l'interazione con la Nicolodi è ottima (le scene in macchina sono fantastiche).
L'aspetto investigativo segue una logica ferrea e realistica, senza soluzioni improvvise o improvvisate e lo spettatore capisce solo alla fine l'identità dell'assassino, ed è veramente una rivelazione sorprendente, come si chiede a OGNI film di questo genere, e come purtroppo raramente si vede, al contrario.
Insomma, per me è una pietra miliare del cinema italiano, perchè mostra un altro lato della nostra cultura (diverso dalla classica filmografia italica), quello più perverso e malato. Consigliatissimo.


Voto 9

Paradisi Artificiali




Se so che devo morire non capisco perché devo essere felice. La differenza tra l´uomo e l´animale sta tutta in questa consapevolezza, per cui l´infelicità è l´elemento costitutivo della condizione umana, che un tempo le religioni e oggi le psicoterapie o i ritrovati farmacologici cercano inutilmente di narcotizzare. Ma si può davvero pensare di reperire la felicità attraverso la negazione del tratto caratteristico della condizione umana? E allora, come scrive opportunamente Edoardo Boncinelli in Perché siamo infelici (Einaudi, pagg. 184, euro 14): "L´infelicità non è un accidente, è un destino".

Oltre a Boncinelli, che affronta il problema dal punto di vista genetico, il libro ospita gli interventi di eminenti psichiatri e psicoanalisti quali Maurizio Andolfi, Vittorino Andreoli, Eugenio Borgna, Bruno Callieri e Paolo Crepet che cura questa raccolta dei saggi, il cui intento è di smascherare i falsi rimedi che ogni giorno ci vengono proposti da quanti traggono profitto dall´infelicità diffusa, per vendere quelle che già Eschilo chiamava "cieche speranze (thuphlás elpídas)".

Con la chiarezza dello scienziato che non si fa incantare dalle cieche speranze
, Boncinelli ci avverte che la natura ci genera per la continuità della specie e non per la felicità dell´individuo. Ma affinché gli individui non si demotivino una volta raggiunta questa consapevolezza, la natura provvede a quella serie di inganni che sono i desideri dell´individuo, i suoi progetti, i suoi investimenti, i suoi entusiasmi, particolarmente vividi nell´età giovanile che è poi la stagione più feconda per la generazione. "Resisteremmo infatti fino all´età riproduttiva - il traguardo che interessa alla natura - se non avessimo questa sorta di imbroglio da bambini, che non ci fa vedere perfettamente le asperità del mondo?" - si domanda Boncinelli e risponde: "Sono sicuro di no. Abbiamo una fase transitoria, ma lunga, di minore lucidità e ringraziamo Iddio. Altrimenti sono convinto che molta gente abbandonerebbe questo mondo ben prima della morte naturale".

A questa infelicità di base, che possiamo chiamare "biologica" se ne aggiunge una "culturale", determinata dal fatto che l´individuo promuove desideri, progetti, investimenti che, scrive sempre Boncinelli, sono "una molla alla base di tutta la civiltà e di tutta l´evoluzione culturale, ma anche una palla al piede, uno sconforto, uno sconcerto, un amplificare l´infelicità su tutta la vita", perché i nostri desideri sono quasi sempre sproporzionati alla nostra capacità di realizzazione, e lo scarto tra il desiderio e la sua realizzazione è la fonte di una nuova infelicità.

Su questo tema ritornano le bellissime pagine di Eugenio Borgna che, dopo aver esaminato tutte le forme patologiche di felicità e di infelicità, e i rimedi farmacologici che attutiscono i sintomi ma non danno un orizzonte di senso, affonda radicalmente lo sguardo sulla condizione tragica dell´uomo che non può vivere senza una produzione di senso, in vista della morte che è l´implosione di ogni senso. Colta nella sua dimensione abissale, questa infelicità non è curabile con i farmaci, ma è possibile attenuarla attraverso un´intensificazione delle relazioni interpersonali, da quelle affettive a quelle di cura, recuperando quel tratto costitutivo dell´essenza dell´uomo che la natura prevede come "animale sociale".

Ma che tipo di società è quella che ci circonda? Una società che ci riempie di oggetti da consumare, scrive Paolo Crepet, che stanno al posto di relazioni mancate. Una società che misura la felicità sui redditi invece che sulla circolazione dei sentimenti, fino al punto, sempre in nome dei redditi, di fare dell´infelicità un businnes. Infatti, scrive Crepet: "assistenti sociali, religiosi, psicologi, psicoterapeuti, psichiatri, filosofi, organizzazioni di volontariato, farmacologi, perfino le prostitute vedrebbero i loro ricavi ridursi se, d´un colpo o per magia, la maggior parte degli infelici cessassero di esserlo". Per non parlare poi del controllo sociale che trae un indiscutibile vantaggio dall´infelicità: "perché è più facile controllare persone rassegnate e impotenti, piuttosto che vitali e ideative".

Sull´infelicità collettiva vivono anche le religioni che "promettono una felicità post mortem", garantendosi in tal modo la sopportazione dell´infelicità su questa terra, fino a indurre a vivere i momenti di felicità con un mal celato senso di colpa, perché assaporare la felicità su questa terra potrebbe ridurre la fede nell´al di là. Ma, osserva opportunamente Crepet, non meno insidioso è il messaggio sotteso a ogni forma di pubblicità che, per invitarci a consumare, ci dice Life is now (la vita è adesso). E se la religione si alimenta di infelicità proiettando la felicità in un altro mondo, la cultura del nostra società, concentrandosi sul presente, esclude che il futuro della vita individuale e sociale possa essere migliore di quello attuale.

Ma se questa è la condizione umana, non è che per vivere bisogna frequentare e almeno in parte corteggiare la nostra follia? Questo è il messaggio dello psichiatra Vittorino Andreoli secondo il quale: "Per vivere bisogna essere fuori dalla realtà, essere dunque come i folli che l´hanno dimenticata, per poter sopportare di stare al mondo e di continuare a essere uomini, uomini senza senso, perché di fatto la condizione umana non ne ha alcuno".

(Umberto Galimberti su Repubblica, 16/06/2010)

lunedì 14 giugno 2010

Torpore






Torpore.
Quella cosa che, anche dopo 11 ore di sonno, ti porta ad avere delle borse sotto gli occhi così grandi che potresti metterci l'occorrente per 2 giri intorno al mondo. E tornare con delle provviste che ti sono avanzate.
Col senno di poi, non è stato molto proficuo il "Girls, Interrupted" di Californichescioniana memoria: almeno la vita prima era più movimentata.
Questa prima metà di 2010 è stata di una piattezza senza precedenti, con qualche soddisfazione solo in ambito lavorativ-studentesco.
Nessun incontro interessante, nessun avvenimento degno di nota, nada de nada. E così il riposo cerebrale lentamente diviene appiattimento, passione svilita, entusiasmo contenuto (se non ridotto), nichilismo sempre più dilagante.
Davvero, la mia insofferenza verso ciò che mi circonda è crescente; mi chiedo come sarò a 70 anni, se comincio così.
La cosa tragica è che non saprei come porvi rimedio. Un viaggio? Un incontro casuale sconvolgente?
BOH.
Non so perchè ultimamente ho il vizio di intravedere un qualcosa di affascinante in persone con le quali difficilmente potrò avere a che fare. O stanno troppo lontano, o sono fidanzate, o sono troppo stangone, o sono lesbiche.
Se dovessi fare un'autoanalisi, comincerei a domandarmi se in realtà me le scelgo proprio perchè irraggiungibili, assecondando il mio inconscio desiderio di rimanere da solo.
Ma non lo faccio.
Continuo a pensare che, sotto quest'aspetto, sia celato un lato un po' schizofrenico, nel senso etimologico del termine: un animo diviso in 2 che desidera cose opposte.
Il problema è metterle d'accordo, 'ste 2 parti.

lunedì 7 giugno 2010

Breaking Point


Disse il saggio "Nessun uomo è un'isola"...perchè arriva sempre il classico stronzo a costruire un ponte dove non dovrebbe.