mercoledì 29 settembre 2010

Dischi Del Mese: Settembre '10



E inauguriamo una nuova rubrica, questa volta a indirizzo musicale, sui dischi più o meno interessanti che ho ascoltato mese per mese. Mi piacerebbe essere meno sintetico e spendere più di 5-6 righe ad album, ma il tempo è quello che è e, in fondo, questo blog è pur sempre un hobby. E quindi cominciamo:



Grinderman - Grinderman 2
: cara dolce, calda, vecchia voce di Nick Cave. Quando lo senti cantare, automaticamente, te lo vedi col suo bel vestito (magari gessato questa volta), 3 anelli per mano, Rayban specchiati e capelli tirati all'indietro. Per chi scrive, il progetto Grinderman è per certi versi più esaltante dei Bad Seeds (pur essendo, di fatto, le stesse persone a suonare); sarà per la natura più spiccatamente rock'n'roll (basta ascoltare Mickey Mouse and The Goodbye Man per avere un'idea), per le chitarre bastardamente distorte, per quel basso sulfureo che si insinua tra i mefistofelici ululati di Cave e i continui crescendo della batteria, per lo spettacolare video del nuovo singolo Heathen Child, o semplicemente perchè da No Pussy Blues del precedente lavoro, non riesco a smettere di adorarli. Voto 7,5

Klaxons - Surfing The Void
: prendete gli MGMT, aumentatene la velocità e mescolate con gli ultimi liberatori minuti di Careful With That Axe, Eugene; otterrete un album figlio dello stream of consciousness di un tossico che si è appena fatto la sua dose. Delirio propiziato dal singolo Echoes (adoro i video nel deserto), perpetrato nervosamente dalla title track, modellato dalla splendida Valley Of The Calm Trees e suggellato da Cypherspeed in chiusura. Se non si è capito, è stato un colpo di fulmine a primo ascolto (cosa rara). Consigliatissimo. Voto 8

Interpol - S/T: devo premetterlo, non sono mai andato matto per loro (salvo gemme come Pioneers To The Falls, Evil, Obstacle 1 e qualcos'altro); forse è per questo che il nuovo degli Interpol mi è un po' scivolato addosso, anche perchè trovo lo stesso difetto (e cioè l'eccessiva omogeneità tra le canzoni) che, di fondo, ho un po' riscontrato negli altri lavori, con la differenza che qui non c'è una traccia che emerga un minimo rispetto alle altre. C'è qualche guizzo in Always Malaise (The Man I Am), nell'incedere di Barricade o nella finale The Undoing ma è un po' poco su 10 pezzi. Voto 5

Weezer - Hurley: meriterebbero 10 solo per la geniale copertina (di cui sopra) , ma, al gruppo di Rivers Cuomo, un'ascoltata non la si nega mai. Disimpegnati, cazzari, senza grosse pretese di sperimentazione o di portare chissà quale messaggio, sono i soliti 45 minuti circa che scorrono piacevolmente tra canzoni catchy (su tutte Ruling Me, il primo singolo Memories e Where's My Sex?) e altre più anonime, soprattutto quando provano a rallentare. C'è anche una cover copia-carbone di Viva La Vida dei Coldplay registrata in presa diretta, ma non lascia granchè il segno. Si chiude con Represent dagli strani (per non dire tamarri) effetti vocali da disco anni '90, a chiosa di uno stile che è sempre lo stesso dai tempi del Blue Album del 1994. Basta non avere troppe pretese e ci si svaga per un po'. Voto 6

Brandon Flowers - Flamingo: gli altri Killers si prendono una pausa e il buon Brandon decide di farselo da solo, il disco, imprimendogli un'impronta più personale (già dal titolo, Flamingo è la strada dove è nato), pur lasciando inalterate le caratteristiche che hanno fatto la fortuna del gruppo che esordì con lo splendido Hot Fuss. C'è l'eleganza barocca in Welcome To Faboulous Las Vegas, il gusto per i synth in Jilted Lovers And Broken Hearts, la maestosità solenne del singolo Crossfire o di On The Floor (con tanto di cori gospel), e le fascinazioni pop anni '80 di Jacksonville. C'è un problema, mancano di mordente. Probabilmente, sarebbero stati degli ottimi b-sides del gruppo originale, ma niente di più. Forse non è un caso che abbia trovato più gradevoli il piano spensierato di Was It Something I Said? e il country di The Clock Was Tickin'. Insomma, mi è piaciuto di più quando si è allontanato dai Killers e ha fatto il Brandon Flowers. Voto 5,5

Deerhunter - Halcyon Digest: insipienza è la parola magica. Non un brutto disco, intendiamoci, ma un po' anonimo. Già l'opening non è particolarmente predisponente (sono uno strenuo sostenitore di un primo brano sparato e Earthquake, a dispetto del titolo, è tutto il contrario); proseguono anonimi con Don't Cry, per poi surfare su Revival. Da qui, inizia una strana e, a mio modo di vedere, disorganica alternanza di pezzi più eterei e raffinati con canzonette più leggere e disimpegnate, passando da un brano a forte impronta interpoliana come Desire Lines alla sognante Helicopter (pezzo migliore), continuando con l'allegra Coronado. Chiude He Would Have Laughed rarefatta e nebulosa. Ma la nebbia dura poco. Sparisce e chi se la ricorda più? Voto 6-

Hans Zimmer - Inception OST: dopo il post precedente, non mi soffermo più di tanto. Di certo, se il voto che ho dato al film è così alto, è merito anche di una colonna sonora maestosa, roboante, eterea ed intima allo stesso tempo. La traccia finale Time è da pelle d'oca. Voto 9

domenica 26 settembre 2010

Popcorn: Inception



Mi è piaciuto così tanto che non so davvero spiegarvi perchè. Rende il sogno così incredibilmente meraviglioso da insinuarti lo stesso dubbio che tormenta il personaggio di Leonardo DiCaprio, su quale realtà sia meglio vivere. Il tutto evitando il rischio di scimmiottamenti a Matrix con il quale gioca assolutamente alla pari, se non addirittura in vantaggio, in virtù di un confezionamento che definire elegante è poco (fotografia, musiche di Hans Zimmer, cast e molto altro..). Nolan incastra sogni e subconsci con una precisione matematica, senza per questo soffocare la componente emotiva (incarnata in una divina Marion Cotillard), costruendo un ingranaggio senza difetti, lento ma progressivamente incalzante.
E in barba al 3D e alla sterile ipertecnologia di Avatar (che sacrifica l'aspetto narrativo in nome dello stupore), Inception prende davvero lo spettatore per mano e lo porta dentro il mondo che più di tutti sogniamo di esplorare: la nostra mente.
Che sia un ultramoderno hotel di lusso, una città allagata dalla pioggia, un bunker in mezzo alla neve, o una distesa di palazzi che si piegano su sè stessi.
Un congegno perfetto, ma perfettibile allo stesso tempo, dove ogni cambiamento è piegato al nostro volere, ad ogni nostro desiderio più intimo e recondito, sepolto nel mare di ricordi e informazioni che abbiamo accumulato fino a questo momento.
Una trottola che non si ferma mai.
Un sogno reale.


Voto 9

mercoledì 22 settembre 2010

Horror Vacui



Aspetta un secondo...no, non era così importante.

martedì 21 settembre 2010

Popcorn: Session 9


Vedere un film, vivere un film.
Vedere un luogo, vivere un luogo.
Dietro questo scadente aforisma appena partorito, potrebbe essere racchiusa l'intera esperienza di Session 9.
Secondo me, l'horror vive e poggia le sue fondamenta sulla paura derivante dalla capacità di immedesimazione. Perchè un film di questo genere possa considerarsi riuscito, è necessario che si ottenga quel grado di coinvolgimento che fa sì che lo spettatore stia, per quell'ora e mezzo circa, in uno stato di tensione.
Pensate a Non Aprite Quella Porta.
Quanto sangue si vede?
Beh, a parte il finale, veramente poco. Lì la suspense gioca tutto sulla musica di sottofondo (quella sì, veramente disturbante) e sulle apparizioni improvvise di Leatherface.
E in Psycho? Quanto sangue c'è in Psycho?
E davvero avete avuto paura guardando uno dei 15mila Saw?
Gli splatter in fondo quasi mai hanno l'intento di spaventare, o forse sono io a trovare troppo facilmente l'aspetto goliardico in litri e litri di sangue che grondano dallo schermo: si arriva ad un'estremizzazione tale da non risultare più aderente con la realtà.
E se non è aderente con la realtà, è difficile che mi possa immedesimare.
Detto questo, Brad Anderson con un budget ridottissimo, senza effetti speciali e con sole riprese in digitale (altro elemento che, secondo me, è determinante per il discorso di cui sopra, per l'effetto di vivida tangibilità che produce) crea un piccolo capolavoro di tensione e inquietudine.
Cinque operai (tra cui il David Caruso-Horatio Caine di CSI Miami) vincono un appalto per occuparsi della rimozione di vecchi pannelli d'amianto da un manicomio abbandonato da 20 anni.
In una settimana di lavoro, emergono aspirazioni frustrate, fobie, rancori, e segreti via via che ci si addentra nell'edificio.
L'esplorazione della struttura diventa esplorazione dei propri limiti, rivelando ciò che è nascosto da quel guardiano della memoria che è la coscienza.
Ed è sempre così che si trova ciò che non si cerca. E non necessariamente questo ha delle conseguenze positive.
Sullo sfondo (e solo superficialmente fuori contesto), vengono alla luce nove nastri contenenti la registrazione di agghiaccianti sedute psichiatriche con una donna affetta da disturbo di personalità multipla.
Anderson proietta sullo schermo e fuori da esso (altro che 3D) i moti dell'animo dei 5 operai rendendoci pienamente partecipi degli eventi: il nictofobo che scappa dal buio, l'esplorazione notturna dell'ex ospedale e l'inquietante finale sono acme di una tensione che ricordo di aver sperimentato l'ultima volta in un segmento di Zodiac di David Fincher (quando Jake Gyllenhaal scende in cantina, per la precisione).
L'eleganza delle luci (del resto, dopo questo film, Anderson girerà "L'Uomo Senza Sonno", altro gioiello), un commento musicale minimale coadiuvato da sinistri rumori e suoni indefiniti, e una prova attoriale notevole (su tutti Peter Mullan) contribuiscono alla creazione di un riuscito mix di fascinazione, paura e inquietudine.
Manca l'elemento grottesco, che probabilmente avrebbe fatto gridare a un emulo di David Lynch (di cui comunque si sente qualche eco); rimane, ad ogni modo, un'opera di grande spessore per la capacità di conciliare conscio e subconscio, paura e volontà di azione e che punta a mettere in risalto la logica oscura, ma pur sempre lineare, della follia.
Follia che, volenti o nolenti, è nascosta dentro ognuno di noi, lì in un piccolo recesso della nostra mente.
Consigliatissimo.

Voto 8,5

mercoledì 15 settembre 2010

The Only Kind Of Real Fantasy




Nella maggior parte dei casi, difficilmente mi ricordo dei sogni che ho fatto la notte precedente. Ma questo risale a 2 giorni fa, quindi, evidentemente, per qualche ragione mi è rimasto impresso.

Forse perchè sto cercando di interpretarlo come un accorato messaggio del subconscio che ancora non sono riuscito a decifrare.
Ipotizzando che questo blog sia una specie di lettino, mi stendo e (come la psicanalisi vuole) racconto, non guardando in faccia chi ascolta/legge.
Dicono che l'inizio sia un buon punto di partenza per cominciare.
Presto detto, sono in vacanza con una ragazza.
E voi direte "i soliti sogni a tinte porno".
E invece no.
O meglio, non del tutto.
La ragazza in questione è una persona che io conosco e che (giuro) non mi attrae neanche tanto fisicamente. Oltre a ciò, è il classico soggetto agli antipodi con me: arrampicatrice sociale, finta scema in realtà cannibale, biecamente lecchina, ignorante e inutilmente snob.
Insomma, una gran testa di cazzo.
Intanto nel sogno, siamo nel classico appartamento in riva al mare che ti danno in vacanza, con la spiaggia a 2 centimetri dalla cucina e un panorama mozzafiato.
Se ciò non bastasse, lei è un'altra persona.
E' sempre la bionda con un fisico niente male cui non si accompagna un viso propriamente armonico, intendiamoci, ma ora ascolta indie, legge John Fante (non chiedetemi perchè, domandatelo a Freud o al mio subconscio), e, con solo una camicia bianca addosso, si stende sul letto e mi propone la visione di un film di Truffaut.
Il tutto, mano nella mano, con tanto di baci.
Praticamente, plasmata secondo il mio volere.
E nel sogno sto bene. Mi diverto, l'accarezzo, scherziamo. Sono felice.
Poi mi sveglio.
E quasi mi dispiace.





Deer Tick - What Kinf Of Fool Am I? (Frank Sinatra Cover)

What kind of fool am I, who never fell in love? It
seems that I'm the only one I have been thinking
of. What kind of man is this? An empty shell, a
lonely cell In which an empty heart must dwell?
What kind of lips are these that lied with every
kiss? That whispered empty words of love that left
me alone like this? Why can't I fall in love like
any other man? And maybe then I'll know what kind
of fool I am. What kind of clown am I? What do I
know of life? Why can't I cast away the mask of
play and live my life? Why can't I fall in love,
till I don't give a damn? And maybe then I'll know
what kind of fool I am.

lunedì 13 settembre 2010

Prove Tecniche Di Lobotomizzazione



Al risveglio di una nuova settimana, in uno stato di coscienza approssimativamente buono, accendo 2 minuti la tv per avere un sottofondo diverso dal sonnacchioso seducente silenzio, mentre riscaldo il caffè nel tentativo di raggiungere i requisiti necessari per il concetto di "stare svegli". E com'è, come non è, finisco su Canale 5.
Violini strazianti e pianoforte d'accompagnamento.
Mattino Cinque.
Sta andando in onda il classico servizio strappalacrime in pieno "stile StudioAperto" su 2 neonati morti nonhobencapitocome.
In collegamento, la madre dei pupi. A cui viene chiesto "com'erano i suoi figli, caratterialmente, anche se avevano 10 mesi? Ce ne parla approfonditamente?".
In studio, il conduttore sembra commosso e partecipe per la sofferenza della donna, ma si sa, the show must go on (e in questo caso upon) e quindi continua a incalzarla; "Chi era più forte dei 2?", "Camminavano già? Apperò!".
Poi non capisco se lo stimolo proemetico che mi assale proviene dal caffè appena ingurgitato o dal malefico schermo che indebitamente ho pensato di accendere.
Ma sono uno stoico masochista, e un povero fesso ancora sensibile al fascino del tubo catodico; così, decido di cambiare canale.
Zapping sul calcio per qualche minuto ma, come ogni stupido assassino che si rispetti, torno sul luogo del delitto.
C'è Alessandro Sallusti col suo "editoriale".
E proprio in quel momento, in un lampo di genio, dovuto verosimilmente alla caffeina riattivante che si fa strada per le intricate vie del mio apparato digerente, comprendo che la causa della nausea che mi attanaglia la gola
non è nella tazzina che tengo in mano.
Meglio il silenzio, và.

martedì 7 settembre 2010

C'era Una Volta In Italia

Ammorbati da Studio Aperto, TG1, TG4, TG5 (in rigoroso ordine di indecenza), mi sembra giusto dare risalto ad un'informazione quantomeno dignitosa che si affaccia coraggiosamente in tv.




Resta, comunque, il fatto che Fini è un politico con due palle quadrate (e la blanda e risibile seduzione del PD, cui farebbe più che comodo un personaggio di simile levatura, ne è una prova...detto da un elettore del centrosinistra).

venerdì 3 settembre 2010

Popcorn: La Casa Dalle Finestre Che Ridono


Maledetto Dylan Dog.
Ok.
Direte voi "Che c'entra un fumetto col più famoso film horror di un regista italiano ai più noto per i suoi drammoni recenti?"
C'entra, c'entra.
Chi lo avesse, vada a leggersi il numero intitolato "L'incubo dipinto" e mi dica se non trova delle similitudini.
Del resto, il citazionismo è uno degli elementi cardine di questo (per me, grande) fumetto, e solo ora che sono più grandicello, riesco a cogliere omaggi nascosti (in alcuni casi, palesi) che ovviamente mi sfuggivano quando, all'età di 8 anni, mia nonna mi regalò "Il Bosco Degli Assassini", mitico numero 70 e primo Dylan Dog della mia vita.
Chiusa la parentesi fumettara, com'è il film?
Notevole. Molto molto interessante.
Ambientata in un paese della bassa padana, terra natìa del regista (quel Pupi Avati che molti ricordano per "Regalo di Natale" o drammi come il recente "Il papà di Giovanna"), la pellicola ruota intorno alla figura maledetta di Buono Legnani, pittore specializzato in agonie (coadiuvato da 2 malefiche sorelle), poi morto suicida.
Trent'anni dopo, nel piccolo sobborgo, giunge un giovane restauratore con l'incarico di riportare alla luce un affresco sul martirio di San Sebastiano, dipinto proprio dal Legnani, scoprendo però, che sotto la polvere, c'è molto altro.
Onore al merito, Avati è abilissimo nel permeare tutto il film di un'inquietudine sottile e soffusa e che trova le sue vette nei terribili titoli di testa e nello spettacolare finale.
Qualche giorno fa, leggevo su Internet di un'iniziale progetto che prevedeva le riprese negli Stati Uniti, cosa che secondo me avrebbe notevolmente danneggiato il film.
Penso, infatti, che il clima rurale e tranquillo che si respira normalmente nei piccoli paesi, e che Avati, qui, riproduce alla perfezione, sia un perfetto "velo di Maya" (consentitemi questa citazione filosofica, please) per l'orrore che si nasconde sotto l'immagine di un paesaggio sereno e quasi ingenuo nella sua semplicità (il personaggio di Lidio è indicativo, a riguardo).
E il protagonista, interpretato da Lino Capolicchio (un po' statico, ma tutto sommato nella parte), viaggia in parallelo nel suo lavoro di ripristino: l'affresco è, a tutti gli effetti, una metafora (neanche poi tanto implicita, vista l'importanza ai fini della trama) della realtà in cui è precipitato.
Alla creazione della sopracitata inquietudine continua, indubbiamente, contribuisce il gruppo attoriale guidato da un Gianni Cavina perfetto nel ruolo del mezzo svitato, con un Bob Tonelli versione-Michael J. Anderson in Carnivàle, e una bellissima (anche se un po' imbalsamata) Francesca Marciano.
Sul finale shocking non dico nulla, ma, certamente, film come questo alimentano la mia perplessità sullo stato attuale del cinema italiano che non riesce andare oltre i soliti drammi strappalacrime, le boiate in salsa teenager di Moccia e gli insulsi cinepanettoni con Boldi e De Sica (che ora si sono pure sdoppiati).
Il guaio è che al botteghino funzionano.

Voto 8