martedì 27 settembre 2011

Dischi Del Mese: Settembre '11



Copertina per il supergruppo del 2011, che già la sola presenza di Mick Jagger è sufficiente per definirlo tale. Aggiungeteci quella strafiga di Joss Stone e i giochi sono fatti, senza menzionare compositori con l'Oscar in tasca, illustri figli d'arte e chitarristi di band storiche. Ma al di là del folklore e del sapore di mega-combo, vediamo che altro è uscito in questo periodo.

Beirut - The Rip Tide: non posso farci nulla, non riesco a mandarli giù. Ne riconosco l'abilità a livello compositivo e la gradevolezza all'ascolto, ma mi scivolano addosso come la pioggia sull'impermeabile. L'intento è quello di fornire un adeguato commento musicale ad un paesaggio di fine estate, il risultato (almeno per me) è una botta di sonno, di quelle pesanti. Voto 5

Red Hot Chili Peppers - I'm With You: John Frusciante è uscito dal gruppo; al suo posto è entrato Josh Klinghoffer (discepolo e collaboratore dell'ingombrante predecessore), ma la sostanza non cambia granchè: i Red Hot, ormai, viaggiano col pilota automatico riproponendo la solita formula da almeno 10 anni, con la consueta miscela di funk e rock (la doppietta iniziale con Monarchy Of Roses e Factory Of Faith illude piacevolmente), e intercalando le classiche (e stavolta meno efficaci) ballads da accendini ai concerti. Il cambio di chitarrista poteva essere un'occasione per sperimentare, ma a loro non interessa. E' semplicemente un disco atto a rimpolpare il repertorio da proporre sul palco (lo si capisce già dal ruffianissimo singolo), inutile aspettarsi di più. Voto 6-

The Rapture - In The Grace Of Your Love: la ricetta è sempre la stessa, fin da quell'Echoes del 2003: una sapiente miscela di funk, dance e rock capace di farsi strada fino al padiglione acustico dell'ascoltatore, fin dal primo play. Partono sparati con Sail Away, Miss You e Come Back To Me per arrivare alla title track, punto di partenza di un leggera caduta di tono e di intensità; per fortuna, la corsa riprende con lo sfavillante singolo How Deep Is Your Love? per un disco ballabile e contagioso. Voto 6,5

Bon Iver - S/T: continuo a preferirgli Iron & Wine, per come tocchi meglio le corde sensibili quando è in vena di ballads solitarie e bucolico-malinconiche, e per come abbia il coraggio di sperimentare soluzioni diverse (e più movimentate, come nell'ultimo Kiss Each Other Clean). Resta, comunque, il buon livello compositivo dell'autore statunitense, e la consueta abilità nel pennellare paesaggi rurali su melodie tanto semplici quanto delicate. A me, continua a non calare granchè. Voto 6

Superheavy - S/T: ho sempre nutrito una certa diffidenza verso il concetto di 'supergruppo'. Che mi ricordi, le uniche cose che ho apprezzato catalogabili sotto questa categoria rispondono ai nomi di Audioslave (ma solo il primo album) e Them Crooked Vultures (dai quali era lecito aspettarsi di più). Intanto, il singolo che vedete qui sotto ha superato il milione di visualizzazioni su Youtube nell'arco di un paio di settimane, ma che ne è delle altre tracce? Una gara di 'celhopiùlungoio' troppo spesso giocata su un terreno pesantemente infarcito di reggae. Manco a dirlo, vince a mani basse quel gigione di Mick Jagger, ma, tolta Energy e il ritmo in levare di Common Ground, rimane molto, tantissimo fumo e poco, pochissimo arrosto. Voto 5,5







lunedì 26 settembre 2011

Addio Sergio






Dopo il post precedente mi sembra superfluo sottolineare nuovamente l'importanza che ha avuto il fumetto nella mia crescita personale, quindi vado al sodo, e ad un inizio settimana nato sotto pessimi auspici.
Come potrete leggere su svariati siti (del settore e non), oggi le nuvole parlanti italiane hanno perso una figura paterna, autorevole e carismatica.
Mi azzardo a dire che se non ci fosse stato Sergio Bonelli (e, ovviamente, il padre, prima di lui), verosimilmente, i sogni di molti giovani italiani dagli anni '60 ad oggi sarebbero stati più poveri e banali.
Per cui,
da un appassionato e fedele lettore bonelliano di vecchia data, col sogno nel cassetto di sceneggiare un albo di Dylan Dog in un ipotetico futuro,
grazie Sergio, di tutto.




mercoledì 21 settembre 2011

SetteDylanDog







Festeggiato da poco il numero 300 (classico episodio surreal-celebrativo senza infamia nè lode) e i 25 anni di vita editoriale, dedichiamo questa top 7 al personaggio dei fumetti che più di ogni altro mi ha influenzato/segnato; sin da quando, alla tenera età di 8 anni, chiesi alla nonna di comprare quel mitologico n° 70 (Il Bosco Degli Assassini), stregato dalla splendida copertina e da alcune vignette che già alla prima occhiata mi avevano terrorizzato e incuriosito allo stesso tempo (teste esplose e mani mozzate...i vecchi tempi in cui lo splatter andava di moda).
Potrei scrivere per ore ma mi limito a dire, senza troppi giri di parole, che probabilmente sarei una persona molto diversa se non avessi chiesto a mia nonna quelle 2.700 lire. E penso che se mai dovessi fare una top 7 dei soldi meglio spesi, ai primissimi posti ci sarebbero sicuramente questi spiccioli.
Vai con i 7.


7- Titanic (n°90 testi: Chiaverotti - disegni: Piccatto)


6- Goliath (albo speciale n°13 testi: Ruju - disegni: Mari)


5- Necropolis (n°212 testi: Barbato - disegni: Freghieri)



4- Sogni (albo speciale n°7 testi: Sclavi - disegni: Freghieri)



3- Margherite ( albo gigante n°2 testi: Sclavi - disegni: Ambrosini)


2- L'Alba Dei Morti Viventi (n°1 testi: Sclavi - disegni: Stano)


1- Il Lungo Addio (n°74 testi: Sclavi & Marcheselli - disegni: Ambrosini)



Se non si fosse capito, sono un grande fan delle storie che vedono Dylan inserito in dinamiche di gruppo, o in situazioni fuori dall'ordinario schema cliente-colloquio a casa di Dylan-risoluzione del caso.
In questo senso, Titanic è la storia che rileggo più spesso per l'alto tasso di divertimento che porta con sè (in generale, a dispetto dei molti detrattori, penso che Chiaverotti abbia fatto ottimi lavori con l'Old Boy londinese).
Goliath mette in scena una situazione simile, ma con più finezza. La storia è un palese, ma riuscito, omaggio alle varie edizioni de "La Cosa" (imho, il miglior film di Carpenter); probabilmente le 132 pagine giovano al ritmo e contribuiscono al confezionamento di uno dei migliori speciali dylaniati, grazie anche ai disegni di un Mari perfettamente funzionale alla storia.
Necropolis l'ho inserita per nobilitare le (giustamente) bistrattate produzioni recenti: che il personaggio abbia perso mordente è cosa nota, ma Paola Barbato, insieme a Recchioni e a qualche sporadico spunto di Ruju, Medda e Di Gregorio, sono gli unici a mantenere viva la fiammella dei primi 100 numeri, introducendo qualche novità, senza snaturare la materia prima. Come in molte altre storie dell'autrice milanese, Dylan viene portato a un
tale livello di prostrazione psicologica da arrivare a dubitare dei suoi principi-cardine, cosa non da poco per un idealista convinto com'è il Nostro, e tassello narrativo fondamentale nel garantire alle storie della Barbato una carica emotiva non indifferente.
Freghieri (insieme a quella pippa di Ugolino Cossu) è il disegnatore che mi piace di meno, ma Sogni è una delle storie più belle che Sclavi abbia mai scritto; il futuro psichiatra che è in me mi porta ad essere parziale ma è probabilmente l'episodio con i personaggi secondari meglio caratterizzati. Il Matto ha popolato i miei incubi per diverso tempo, così come la scena finale del ragno gigante, ma è la sensibilità con cui Sclavi descrive il mondo onirico a far elevare sopra la media questo albo speciale, di nome e di fatto.
Ambrosini, invece, è il disegnatore che più rimpiango, dai tempi del Guardiano Della Memoria (n° 108, da lui scritto e illustrato); Margherite è una piccola grande poesia su Vita, Morte e Amore, con una delle donne più belle che Dylan Dog abbia mai avuto e uno dei finali più tristi mai letti. Un gioiello raro (e piuttosto difficile da trovare, penso) da custodire gelosamente.
Parlare del numero 1 mi sembra quasi tautologico: leggetelo e avrete un'idea chiarissima di ciò che vi aspetterà almeno fino ai numeri 125-130.
Infine, la storia che, più di tutte le altre, mi è rimasta nel cuore: l'unico albo a fumetti che ho letto con gli occhi lucidi e che ancora oggi mi regala sussulti e nostalgia. Un viaggio nel passato a ricordo di estati svanite, sognate e invocate, dove il vero mostro è la solitudine e il vero Orrore è il tempo che passa inesorabile. Le ultime 2 vignette, l'abbraccio con un Groucho mai così serio, e il Dylan nostalgico seduto alla scrivania rappresentano tuttora la migliore cartolina che mi sentirei di mandare a un amico desideroso di approcciarsi alla lettura di questo fumetto.





Prossima Puntata: SetteSerietv

sabato 17 settembre 2011

Revisioni: Park Chan-Wook


Senza troppi giri tortuosi o ragionamenti cervellotici, Park Chan-Wook è semplicemente uno dei migliori registi in circolazione. Probabilmente ignoto al grande pubblico, questo occhialuto coreano è uno di quei pochi film-maker per i quali non è azzardato utilizzare la dizione di 'autore', magari anche con la A maiuscola. Partendo dal primo capitolo della trilogia della vendetta e arrivando fino al vampiresco Thirst, è impossibile non notare la forza comunicativa di un regista che, disponendo in partenza di un talento visivo smisurato, ha piano piano affiancato all'aspetto estetico (sempre curatissimo) una solidità narrativa crescente e ammaliante, fatta di pugni allo stomaco e trovate quasi fiabesche, di violenza e sentimento, di grosse cadute di stile e di momenti di grandiosa eleganza formale.
In attesa di Stoker, prima opera occidentale in uscita entro il 2011, vedere (almeno) un film di Park Chan-Wook è un passaggio obbligato per ogni cinefilo che si rispetti. Poi si può decidere se amarlo o odiarlo.




Mr. Vendetta: è il primo capitolo della trilogia della vendetta, dove si intrecciano le vicende di Ryu, un sordomuto che decide di vendere un rene al mercato nero, così da poter pagare le cure alla sorella malata, e Park Dong-Jin, padre alla disperata ricerca della figlia rapita. Il dolore e la rabbia viaggiano parallelamente, come costanti di una tragedia umana che sembra trovare risoluzione solo nella vendetta, mostrata nella sua integrità, a differenza degli altri eventi narrati, raccontati attraverso piccoli (ma significativi) dettagli. E' il capitolo più debole, ma non per questo un brutto film. Voto 7

Old Boy: lo troverete in una top 7 dei miei film preferiti in assoluto. Girato con uno stile iperviolento e grottesco che spesse volte rimanda al manga omonimo da cui è tratto, mostra una genialità rara nel confondere lo spettatore ribaltando continuamente la prospettiva della vendetta e di chi è il vero vendicatore del film. Aggiungeteci due attori semplicemente grandiosi nei ruoli di Oh Dae-Su e Lee Woo-Jin e otterrete niente di più e niente di meno che uno dei più bei film degli anni zero e, a parere di chi scrive, un capolavoro assoluto. Voto 9

Three Extremes (episodio Cut): sempre incentrato sulla vendetta, questo mediometraggio inserito in Three Extremes (film consigliatissimo anche per gli altri 2 episodi, di Fruit Chan e di Takashi Miike), introduce un elemento di critica sociale, inedito finora per il regista, sia pure con risultati eccellenti. Quello che più risalta agli occhi è la sempre maggiore raffinatezza ed attenzione al dettaglio estetico. Park Chan-Wook, ormai, ha fatto dell'eleganza formale un mezzo espressivo funzionale alla narrazione, e non mero abbellimento dell'opera. Voto 7

Lady Vendetta: idem come sopra, fin dai preziosi titoli di testa, l'ultimo capitolo della trilogia della vendetta mostra di essere il più elegante e il più ricercato, stilisticamente parlando. Per chiudere il cerchio, una protagonista femminile: Geum-Ja, condannata a 13 anni di carcere per aver rapito ed ucciso un bambino, ci viene mostrata come una donna dolce e disponibile, capace di conquistare l'affetto e la simpatia di tutte le compagne di carcere. In realtà, dietro quella maschera di candore e bontà, si nasconde un preciso e fortissimo desiderio di vendetta nei confronti del vero autore del crimine per cui è stata condannata. Rispetto al passato, la furia della vendetta trova un argine nella dimensione affettiva, il sangue (sempre presente) scorre in misura minore che in passato, e l'elaborazione del sentimento di rivalsa perde la sua natura istintiva, subendo un'azione di freno e di sublimazione negli affetti verso chi abbiamo di più caro al mondo. Voto 8

I'm A Cyborg But That's Ok: chiuso il capitolo vendetta, il regista coreano cambia completamente registro con una favola ambientata in un ospedale psichiatrico; è qui che viene ricoverata la giovane Young-Goon, quando,
dopo aver appreso dalla nonna di essere un cyborg, decide di conficcarsi dei cavi elettrici nei polsi per ricaricarsi. L'arrivo della ragazza nell'ospedale porterà la conoscenza di altri personaggi stranissimi e l'ovvio stravolgimento di quel piccolo mondo che è un ricovero psichiatrico. Questa volta, Park Chan-Wook incanala il suo talento visivo per raccontare una tenera e romantica poesia, abbandonando la violenza e la rabbia del passato, in favore del candore e dell'ingenuità della protagonista e del giovane sociopatico Il-Sun. Il risultato è un film fuori dai canoni, ma difficile da non amare. Voto 7,5

Thirst: con la consueta classe, stavolta si parla di vampiri; e, nonostante sia un tema di gran moda oggi, Park Chan-Wook riesce ad essere originale, nel raccontare la lenta, progressiva e inesorabile trasformazione di un prete cattolico nel più classico dei succhiasangue. L'elemento nuovo però, è rappresentato dalla parallela storia d'amore intrecciata con una tanto giovane quanto sensuale ragazza. L'ambientazione orrorifica si incastra perfettamente con l'aspetto romantico, arrivando a sovrapporsi quando anche Tae-Ju diventa vampira. Da lì inizia un'escalation di violenza con Sang-Hyun sempre intento a frenare la sete della compagna, fino all'inevitabile risoluzione del conflitto. Probabilmente alcune lungaggini ne appesantiscono la visione, ma resta un (ennesimo) ottimo lavoro. Voto 7+

martedì 13 settembre 2011

Popcorn: Thor/Captain America

Con la stessa formula usata per Hobo With A Shotgun e Machete, e con l'approssimarsi di maggio 2012 e dell'uscita di Avengers, vediamo come sta procedendo il lento processo di avvicinamento al film di Joss Whedon.
Una precisazione: ho visto sia Thor che Captain America in 2D, ma, un po' ovunque, ho letto (specie per il secondo) di una sostanziale ininfluenza del 3D nel giudizio della pellicola.
Detto questo, partiamo col dio norreno.





Bello, bravo, bis.
Il film di Kenneth Branagh è uno dei migliori cinecomics degli ultimi anni (e quindi di sempre, visto che come genere è abbastanza recente), in barba a Iron Man 1 e 2 (scusa, Robert, non è colpa tua, ma di quel pippone di Jon Favreau) a Spider-Man 3 e ad altri illustri predecessori. Quello che sulla carta sembrava il personaggio più problematico da trasporre su celluloide si rivela un successo su (quasi) tutti i fronti.
L'intuizione più geniale è sicuramente la realizzazione di Asgard, molto devota alle illustrazioni di Re Kirby: chi ha giocato ad almeno un Final Fantasy avrà qualche deja-vu durante la visione, ma le scene ambientate nel palazzo di Odino (Anthony Hopkins piacione) sono a dir poco mozzafiato, così come efficace e intelligente è la scelta di un pantheon norreno multietnico, a partire da un Heimdall nero (Idris Elba rulez!) per passare a un Hogun asiatico (Tadanobu Asano, invecchiatissimo rispetto ai tempi di Ichi The Killer e Zatoichi).
La storia orchestrata da J.M. Straczynski è tanto lineare quanto solida e coerente, permettendo a Branagh di lavorare di fino nel modellare la psicologia dei 2 protagonisti del film: Thor e Loki.
A dispetto di quanto temuto, ho trovato Chris Hemsworth perfetto nella parte del dio del tuono: modellato fisicamente sulle sembianze della versione Ultimate, per quanto a volte abbia l'espressività di un leghista durante un comizio di Bossi (ma quella è una colpa imputabile alla Natura, mi sa), riesce ad essere sfrontato e arrogante quanto serve per portare a casa la pagnotta.
E poi, cazzo, è veramente una montagna.
Il Loki di Tom Hiddleston è la cosa migliore del film. L'attore inglese ha fatto bene i compiti a casa, e dona uno spessore ed una tridimensionalità fondamentali per la caratterizzazione del villain (che nei cinefumetti determina un buon 70% di riuscita del lavoro): il dualismo con il fratellastro è fatto di lacrime, bugie, tradimenti e mosse subdole, con i classici piani arzigogolati del Dio dell'Inganno, vincolati però, non tanto ad una banale sete di potere, quanto ad una necessità di attenzione e affetto (e Hiddleston è bravo a non farlo scivolare nel patetico).
Il resto del cast viaggia col pilota automatico e regala al pubblico quello che ormai si attende puntualmente in ogni pellicola di questo tipo: interesse amoroso con gusto per la battutina (Natalie Portman in ferie post-Cigno Nero), vecchio professore secchione e paterno (Skarsgard sr., per la prima volta in vita sua, quasi simpatico), e spalla comica rompipalle che ogni 2-3 fa riferimenti a Facebook, I-pod, Twitter e Google (tale Kat Dennings, totalmente scognita per me, fino ad ora).
C'è pure il tempo per una comparsata di Jeremy Renner-Occhio Di Falco, dello stesso Straczyinski e per l'immancabile cammeo di Stan Lee, più le citazioni disseminate per i fan del fumetto.
Difetti? Non me ne vengono in mente; forse potevano scegliere una più figa per interpretare Lady Sif, ma va bene uguale.
Branagh le azzecca tutte, dosando i momenti ironici senza scadere nel demenziale e dirigendo con maestria le spettacolari scene di combattimento.
Difficile chiedere di più, a fine titoli di coda (e classica scena nascosta) si è gasati e soddisfatti.


Voto 7,5





Il poster che vedete qui sopra è un fan-made.
Ma rimane la cosa migliore del film sul Primo Vendicatore.
Sì, perchè, a conti fatti, tutti quelli (mi ci metto anch'io) che avevano inarcato il sopracciglio alla notizia di Joe Johnston come regista della pellicola avevano ragione da vendere.
Si può sorvolare sul fatto che Cap sia interpretato dallo stesso attore che fa la Torcia Umana, perchè Chris Evans (che a me fa strasimpatia, intendiamoci) ha sì il fisico giusto, ma non il carisma e la presenza scenica necessari per trasmettere quell'aura di leggenda che normalmente accompagna Steve Rogers.
Non si può sorvolare sul fatto che una storia (peraltro con la quantità spropositata di fumetti a disposizione) ambientata nel 1945 non faccia un briciolo di riferimento alla Seconda Guerra Mondiale; poteva essere l'occasione per fare un filmone di guerra, come non se ne vedono da anni, e invece Johnston separa totalmente l'Hydra, il Teschio Rosso e tutto il contesto dal conflitto mondiale.
Maiodicobboh.
Si può accettare (e anzi è forse la parte più carina del film) un Capitan America versione mascotte-attrazione da circo, essendo l'unico momento della pellicola in cui viene resa un filino meglio l'ambientazione anni '40.
Non si può accettare (e qui la colpa è del doppiaggio italiano) di mantenere, con risultati ridicoli, la dizione di "Captain", quando, OVUNQUE (cartoni animati, fumetti, videogiochi etc.), il nome del personaggio è sempre stato italianizzato.
Ma al di là di puntigliosità e di scelte stilistiche più o meno discutibili, tutto sa di già visto fin dalla prima inquadratura e la pellicola, anche agli occhi di chi non ha mai letto una vignetta di Cap, scorre prevedibile come una puntata di Don Matteo o dei Cesaroni, e non bastano le citazioni e le strizzate d'occhio ai nerd fumettofili o Hugo Weaving-The Mask a salvare la situazione, purtroppo.
Insomma, l'impressione è che, più degli altri cinecomics Marvel, Captain America, nella sua mediocre linearità, sia stato pensato come lunga introduzione al film sui Vendicatori (trailer post-titoli di coda da bava alla bocca perenne).
Prendere o lasciare.


Voto 5


martedì 6 settembre 2011

SetteCanzoni


Sono già pentito di essermi autoimposto 7 opzioni anzichè le canoniche 10; è stata durissima ma, anche in questo caso, hanno prevalso pelledoca, brividi e occhi lucidi.





7- Bloc Party - So Here We Are



6- Neil Young - Like A Hurricane



5- Radiohead - Fake Plastic Trees



4-
Joy Division - Atmosphere



3- Franco Battiato - L'Animale



2- Death Cab For Cutie - Transatlanticism/Passenger Seat



1- Pink Floyd - Us And Them



Ho barato, lo so.


Prossima Puntata: SetteDylanDog

giovedì 1 settembre 2011

Revisioni: Nicolas Winding-Refn


Voi non ci crederete, ma il tenerone a destra della foto che abbraccia e sbaciucchia quell'idolo di Ryan Gosling (in un post futuro, espliciterò la portata di quest'affermazione) è semplicemente uno dei registi più violenti, intriganti e promettenti del panorama cinematografico contemporaneo.
In attesa di vedere quel Drive che all'ultimo festival di Cannes ha fatto sbavare un po' tutti, vi consiglio di tenere d'occhio questo coccoloso autore danese, perchè già la sua filmografia attuale mostra parecchi spunti validi, coniugati ad uno stile personalissimo e accattivante, nonostante siano evidenti le influenze tarantiniane e lynchane.
In attesa di progetti futuri come Only God Forgives e Logan's Run (sempre con Gosling protagonista), più un discorso in sospeso per un'eventuale pellicola su Wonder Woman, chi volesse approfondirne la conoscenza può buttarsi su questi film.

Pusher - L'inizio: è il primo capitolo di una trilogia criminale ambientata a Copenaghen. Macchina da presa in spalla, ritmo ipercinetico, violenza e una martellante colonna sonora che spazia dalla techno fino al punk e all'hard rock sono gli elementi di una cifra stilistica che qui viene presentata nella sua forma più grezza, per poi affinarsi nei capitoli successivi. Questo primo episodio ci porta a seguire le vicissitudini di Frank, piccolo spacciatore deciso ad alzare la cresta e racimolare qualche soldo ai danni del suo boss (Milo, protagonista del terzo film). In un susseguirsi di eventi avversi e voltafaccia, Refn mette al centro della storia un protagonista freddo e distaccato, inerte sul piano affettivo (emblematico l'incontro con la madre) ma risoluto nelle sue azioni, nonostante la sempre viva consapevolezza di vivere ed operare in un mondo sbagliato, ma che resta comunque l'unico mondo in cui sarebbe capace di vivere. Voto 7


Pusher II - Sangue Sulle Mie Mani: appena uscito di prigione, Tonny (amico di Frank, visto nel film precedente), è ansioso di mettersi a lavoro per il padre, un boss dedito allo spaccio di droga e al traffico di auto rubate, così da recuperarne la stima e, magari, una parvenza di affetto. Peccato che ogni tentativo risulti così fallimentare da trasformare l'iniziale sconforto in un vero e proprio disprezzo. Parallelamente, Tonny si trova a fronteggiare in prima persona una paternità,
tanto inattesa quanto salvifica, sebbene il bambino sia frutto di un rapporto occasionale con una sbandata mangiasoldi. E' forse il capitolo migliore della trilogia, per la maggiore levigatezza stilistica e per una sceneggiatura più raffinata nel sovrapporre (in modo mai banale) ad una semplice crime story tematiche più "alte" come il rapporto padre-figlio, il concetto di virilità (nel senso malavitoso del termine), sullo sfondo di una ineluttabilità del destino che è il vero leitmotiv dei 3 film: non si può cambiare la propria natura, al massimo la si può accettare e conviverci. Voto 8


Pusher III - L'Angelo Della Morte: il diabolico Milo del primo episodio, circa 10 anni dopo, è un ricordo appassito sotto i chili di troppo e la dipendenza da cocaina. Il tempo passa, il mercato cambia e il vecchio boss serbo, impegnato anche in una terapia di riabilitazione, deve stringere malvolentieri nuovi contatti se vuole sopravvivere nel giro. Qui, più che altrove, emerge la contraddizione intrinseca al mondo criminale dove la spinta a voler essere fautori del proprio destino viene soffocata dall'inevitabile sottomissione al boss più in alto. Milo è un fantasma, che prima reagisce con rabbia e poi comprende ed accetta la vita che si è scelto. In questo senso, il recupero del personaggio di Radovan è un'ulteriore testimonianza di quanto detto prima: si può cambiare pelle, assumendo una parvenza di onestà, ma non Natura. Voto 7,5


Bronson: ovvero il biopic secondo Refn. Michael Gordon Peterson ha una grande passione per Charles Bronson ma è anche uno dei criminali più violenti e folli della storia di Inghilterra. Entrato in carcere per una condanna di 7 anni, dopo una rapina ad un ufficio postale, attualmente risiede ancora in prigione, a seguito di una condotta fatta di omicidi, risse e pestaggi ripetuti. Il regista danese usa l'elemento biografico come pretesto per la messa in scena di un grottesco spettacolo sulla natura animalesca del personaggio. Come ci spiega un fenomenale Tom Hardy (un'interpretazione che promette più che bene, alla luce dei molti punti in comune con il Bane del terzo capitolo nolaniano di Batman), Peterson è sostanzialmente incapace di discernere il bene dal male, in quanto poggia l'intero suo vissuto su un principio tanto semplice quanto limitante: azione-reazione. Picchiare un uomo o un animale sono solo sfumature, viste con gli occhi di un uomo la cui unica necessità è quella di sfogare istinti che non è azzardato definire primordiali. Pertanto, l'unica rappresentazione possibile non può essere che grottesca.
Voto 8-


Valhalla Rising: l'opera più ambiziosa e difficile. I dialoghi si rarefano, per dare spazio alla natura, mentre One-Eye, guerriero muto e spietato, segue l'odissea di un gruppo di vichinghi verso una terra a metà tra il Paradiso e l'Inferno. E' il film meno convenzionale del regista danese e quello che, più degli altri, ne mette in mostra il talento; su tutte, la traversata dell'oceano, in un mare rosso sangue, è senza dubbio la scena di cui è più difficile negare la bellezza, anche solo da un punto di vista stilistico. Perchè, se concettualmente il film può essere attaccabile sotto diversi aspetti (ma, ripeto, a me è piaciuto), è innegabile che almeno visivamente sia un vero e proprio gioiello. Resta da capire se sotto la patina (bella spessa) di un talento visivo non indifferente, ci sia spazio per dei contenuti quantomeno all'altezza. Aspettiamo Drive e i film a seguire per un giudizio definitivo ma, a mio parere, c'è di che essere fiduciosi. Voto 8