giovedì 28 luglio 2011

Verso L'Infinito e Londra

A Palermo la pioggia è rara, specie in piena estate e con agosto alle porte, ma a me piace proprio tanto quell'odore di terra umida che si diffonde subito nell'aria.
Direi che è il momento ideale per buttare giù 4 righe per il blog, visto che, oltretutto, tira aria di festeggiamenti.
First of all, non sono perseguitato da incombenze universitarie e posso svegliarmi quando cazzo mi pare senza essere divorato dai sensi di colpa, avendo adempiuto al mio sacro dovere di studente.
In secundis, altro evento più unico che raro, sono andato a mare, rimediando una discreta abbronzatura che ha spazzato via quel pallore cereo che mi accompagna solitamente per il resto dell'anno, con un guadagno non indifferente in termini di figaggine, modestia a parte.
Dulcis in fundo, veniamo a questo blog.
Perchè se il contatore non è impazzito, pare sia stata ampiamente superata quota 1000 visitatori: che sia stato un clic sbagliato o un periodico curiosare in questo sperduto angolo di rete, molte grazie e tornate presto a trovarci, che vi aspettiamo a braccia aperte.



E, sì, anch'io lo prenderei a sprangate sui genitali, ma la foto ci stava e non ho saputo resistere.
Detto questo, prima o poi scriverò qualcosa su un po' di robe che ho visto/sentito/apprezzato/disprezzato, tipo Captain America (bellammerda), la serie di Romanzo Criminale (capolavoro, vedetelo subito), il disco degli Help Stamp Out Loneliness (merita) e tante altre amenità.
Ora mi scoccia, è estate anche per me, finalmente, e quindi vado in vacanza.
Per i 1000 e passa presunti aficionados, il blog non mi segue in ferie e continua imperterrito nella sua missione di nonsochecosa: ci sono un paio di post programmati, in attesa del mio ritorno.

Sabato si parte alla volta di Londra (città che bramo visitare da quando avevo 14-15 anni e mettevo le spille da balia ai jeans, memore di Sid Vicious e Johnny Rotten), con la speranza di imbucarsi a qualche concerto, di visitare quanto più possibile e dare una palpatina a Pippa Middleton mentre fa jogging. Poi si passa da Venezia per un giro co' mamma e papà (ogni tanto ce vò) e infine si torna a casa dolce casa.
Che le vacanze passano in fretta e agosto è già tempo di bilanci...altro che capodanno.
Buona estate con la canzone di cui sotto, capolavoro e ideale sottofondo per una pacifica pioggia di fine luglio.


Joy Division - Atmosphere



lunedì 25 luglio 2011

Dischi Del Mese: Luglio '11


E' piena estate, mi scoccia essere originale nella scelta di copertina e quindi vi beccate il gelato rosa dei Battles.


Miles Kane - Colour Of The Trap: esule dai Rascals e tenuto per mano dall'amico Alex Turner, anche Miles Kane si dà al disco solista, tirando fuori un album smaccatamente retrò, richiamando alla mente l'ottimo risultato prodotto dai Last Shadow Puppets. Convincono il rockabilly tenace in apertura di Better Left Invisible (vedere e sentire qui sotto), così come i cori beachboysiani di Come Closer e Quicksand, la jamesbondiana Counting Down The Days e il rock acido di Inhaler. Insomma, con una cura certosina della scaletta e un'estetica del suono molto anni '60, Kane dimostra quanto sia stato palpabile il suo contributo nella realizzazione di quel gioiellino che è stato The Age Of The Understatement. Un ottimo passatempo. Voto 6,5

Friendly Fires - Pala: pur non essendo un grande fan del genere, devo riconoscere di essermi divertito parecchio con la freschezza giocosa del disco d'esordio. Insomma, non spulciavo Google continuamente per news sulla data d'uscita (come ho fatto invece per i Death Cab For Cutie) ma ero curioso per il seguito. Ebbene, anche Pala prosegue sulla scia del pastiche solare e caramelloso del primo album avvicinandosi sempre più alla dance per prendere le distanze dall'indole punk che tanto aveva caratterizzato il disco omonimo. Running Away e True Love, così, diventano gli unici episodi di anarchia compositiva in un regime fatto di note puramente da dancefloor, con la title track a fare da intermezzo quasi dubstep, e a preparare il terreno per le ultime danze. Carino, ma il debutto era meglio. Voto 7--

The Pretty Reckless - Light Me Up: lo giuro. Io non sapevo chi fosse Taylor Momsen. Non ho mai visto neanche mezzo secondo di Gossip Girl. Solo dopo ho scoperto che era la gnocca di Paranoid Park e che ha un'insana passione per il rock (al punto da rendere problematiche le riprese del telefilm per i concomitanti impegni in tour della band); per cui, Taylor, congratulazioni: sei il mio innamoramento mensile.
Anche se hai fatto un disco che, quando va bene (Goin' Down, Factory Girl, Since You're Gone) ricorda Courtney Love ai tempi delle Hole (a voler essere buoni) e i Paramore (a voler essere cattivi) e quando va male, cioè quando si presta a evitabili ballads, si avvicina pericolosamente dalle parti di Avril Lavigne. C'è da dire che la Momsen ci crede, e, quando può, urla manco fosse la vedova Cobain o la desaparecida Brody Dalle dei Distillers; peccato che il sound, nel complesso, risulti troppo pulito: un approccio meno levigato avrebbe sicuramente giovato. Rimandata, ma la amo già. Voto 6--

The Horrors - Skying: che delusione. Abbandonano completamente l'estetica post-punk a là Joy Division in favore di un approccio più solare, rispetto al clima lugubre e tenebroso che avvolgeva il precedente (e splendido) Primary Colours. Il risultato è pessimo: dite addio agli influssi shoegaze targati Jesus And Mary Chain (fatta salva solo Endless Blue, che potrebbe tranquillamente figurare nella scaletta del disco precedente, senza sfigurare) e salutate i figli illegittimi di U2, Simple Minds, Duran Duran (ok, magari la voce è meno gioviale di quella di Simon Le Bon). Lode al coraggio per questo salto nel vuoto, ma io li preferivo più oscuri e darkeggianti Voto 5,5

Battles - Gloss Drop: un ottovolante di post e math rock sapientemente miscelati con grazia, ritmo ed energia. Le incursioni vocali si rivelano azzeccatissime (specie Aguayo in Ice Cream), ma i Battles dimostrano di non aver perso smalto anche nei pezzi solo strumentali: Inchworm è un frenetico saliscendi che si insinua sinuosamente nei padiglioni auricolari fin da subito, Africastle è un manifesto programmatico che dà piena mostra di tutti gli ingredienti che troverete dalla prima traccia a seguire, e la marcia quasi reggae di Sundome chiude un lavoro compatto e di precisione rigorosa. Voto 7+

Foo Fighters - Medium Rare: uscita in occasione del Record Store Day, questa raccolta di cover è un'ulteriore testimonianza dell'ottimo stato di salute di Dave Grohl e compagni, che dopo avere liberato la propria foga nell'ottimo Wasting Light, si dedicano, tra cazzeggio e sentito omaggio, a rivisitazioni riuscite e piacevoli pezzi più e meno noti di band che, evidentemente, sui Foos hanno lasciato il segno; dalla floydiana Have A Cigar, ai Ramones di Danny Says, passando per gli Who di Young Man Blues e la punkeggiante Bad Reputation dei Thin Lizzy (anche se è quella dove ho subito pensato "meglio l'originale") fino ad arrivare addirittura a Prince con una selvaggia rivisitazione di Darling Nikki. Sono cover, sì, ma ben fatte. Voto 6,5






lunedì 18 luglio 2011

Luther - Stagione 2



Curvo, seduto sul logoro divano di casa, mentre impugna una pistola e gioca alla roulette russa.
Così troviamo John Luther all'inizio della seconda stagione.
Sono passati alcuni mesi dal tragico epilogo della prima serie, e il poliziotto londinese interpretato da Idris Elba, dopo un lungo periodo punitivo fatto di duro e noioso "lavoro di scrivania", è tornato a pieno regime alla Sezione Omicidi.
E mentre la stupenda Alice Morgan (Ruth Wilson, ti amo) è detenuta in un manicomio criminale, fa capolino sulla scena la protagonista della nuova storyline principale, Jenny, necroporno attrice invischiata (con la complicità della madre) in torbidi affari di droga e mafia, e figlia di un ex-collega di Luther, suicidatosi dopo essere stato arrestato dal nostro caracollante eroe.
I quattro episodi articolati in 2 minifilm ci consegnano un poliziesco procedurale in stato di grazia, con degli assassini tanto efferati quanto inquietanti, a fronte di un ritmo e di una realizzazione tecnica ineccepibili.
Gli amanti del genere crime avranno di che essere soddisfatti, insomma.
Idris Elba, poi, è semplicemente monumentale nel costruire un personaggio ostinato e tenace, nonostante sembri sempre sul punto di essere schiacciato dai mille problemi che gli piovono addosso; non ci sono gli scatti d'ira della precedente stagione, ma si colgono i segni di una sorta di rassegnazione e accettazione della propria natura, così labilmente in bilico tra Bene e Male, illuminati da una possibilità di redenzione attraverso il salvataggio di Jenny.
Bisogna anche dire, però, che la storyline principale di questa stagione sbiadisce al confronto con la precedente, che toccava direttamente gli affetti del protagonista(del resto, era difficile fare meglio): l'intera costruzione della vicenda risulta troppo arzigogolata, la risoluzione finale molto semplicistica e l'interazione tra Luther e la giovane ragazza, per quanto ben riuscita, è lontana anni luce dall'elettricità vibrante che caratterizzava la liason con Alice, vero punto di forza dello show.
All'irresistibile psicopatica dai capelli rossi, vengono consegnati pochi minuti in questa stagione, comunque sufficienti a stregare nuovamente pubblico e protagonista. Rimane il rammarico per la perdita di uno dei principali elementi di fascino della serie, nella speranza che un'eventuale terza stagione (il finale puzza molto di chiusura, quindi la vedo buia) riporti in auge un personaggio veramente azzecato.
In conclusione, capolavoro la prima stagione (ne ho parlato qui), buon prodotto la seconda.





Voto 7+





venerdì 15 luglio 2011

Popcorn: Super 8


Se mai leggerai queste righe sperdute nell'etere internettiano,
grazie J.J. Abrams.
Grazie per aver realizzato un film che trasuda sci-fi anni '80 fin dalla prima inquadratura e che inevitabilmente fa leva sull'effetto nostalgia dei 20-30enni che sono cresciuti andando al cinema per vedere E.T., Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo, Star Wars, Indiana Jones, Ritorno Al Futuro, I Goonies eccetera eccetera.
Bambini protagonisti (e, tolta Elle Fanning, interpretati da perfetti sconosciuti), genitori fessi, militari cattivi, alieni che vogliono tornare a casa, c'è tutto quello che può desiderare ogni essere umano nato nel periodo '75-'85 (facciamo '86, così ci entro pure io): Super 8 è una bella storia di amicizia, passione (visto che il motore di tutte le cose è la smania per la cinepresa di uno dei protagonisti), e crescita (sia dei più piccoli che degli adulti, come insegna papà Spielberg), senza ovviamente dimenticare la fantascienza.
Il tutto con una naturale premessa: non è qui che va ricercata l'originalità, dato che l'obiettivo di Abrams è proprio quello di ricreare quell'atmosfera magica e quasi favolistica dei film sopracitati che hanno contribuito a formare l'immaginario di una generazione di cui lo stesso regista fa parte.
E l'omaggio riesce in pieno; la pellicola è un continuo deja-vu di elementi, trovate e sensazioni provate quando i nostri genitori ci hanno accompagnato al cinema per la prima volta nella nostra vita.
Tolto l'aspetto nostalgico, Super 8 diverte nel suo essere anacronistico, mostra i muscoli quando c'è da fare uso degli effetti speciali ed è di una precisione svizzera nel bilanciare minuziosamente le fasi più movimentate a quelle più sentimental-romantiche (anche se, forse, il finale è un po' troppo affrettato).
E se per un attimo la smettessi di ascoltare il cuore che sussurra all'orecchio "E' come quando eri bambino!", probabilmente mi accorgerei che, in fondo, questo film sarebbe passato quasi inosservato se fosse uscito effettivamente negli anni '80; e lo sa anche quel furbacchione di J.J. Abrams, che mira proprio al cuore e ai ricordi dei ragazzini di allora.
Per questi motivi, sono straconvinto che Super 8 non riscuoterà lo stesso successo tra i "kids" di oggi; perchè, negli anni zero (anzi dieci) si vuole vedere e toccare l'alieno con la massima nitidezza possibile (e magari farlo uscire dallo schermo), anzichè mostrarlo di sfuggita facendone solamente intuire la presenza; perchè il teenager attuale è più sgamato e non è disposto a credere che 5 bambini (perdipiù sprovvisti di bacchetta magica e cicatrice in fronte) possano riuscire laddove uno squadrone militare ha fallito; e poi, perchè in Twilight c'è Robert Pattinson, mentre qua non c'è un figone su cui sfogare le prime tempeste ormonali della propria vita.
Noi gggiovani di ieri, invece, rendiamo grazie per averci fatto tornare la voglia di rivedere il vecchio Spielberg e lasciamo i Michael Bay e i licantropi depilati alle generazioni che vengono...già...poveri loro.


Voto 6,5

sabato 9 luglio 2011

Play: Just Cause 2





L'isola di Panau è il classico minuscolo staterello, pieno di petrolio e governato da un dittatore tappo, con l'hobby per il riportino e una passione sfrenata per i bordelli.
Tanto oro nero e un simile stronzo, ovviamente, attirano le attenzioni di tutte le superpotenze mondiali, pronte a rovesciare il regime e accalappiarsi il bottino, ma, come Hollywood ci insegna, gli americani hanno sempre una marcia in più, potendo contare sull'agente Rico Rodriguez che, neanche 10 secondi di introduzione, e si lancia da un aereo a oltre 9 mila metri d'altezza, armato (udite! udite!) di una scorta infinita di paracadute e di un rampino che non sfigurerebbe nella cintura di Batman.
Così comincia Just Cause 2.
E l'impatto iniziale è notevole, va detto.
Panau, oltre ad essere spaventosamente grande, è un vero e proprio paradiso terrestre, per come alterna (in maniera quasi credibile) paesaggi tropicali da cartolina, a montagne innevate con tanto di rifugi e stazioni sciistiche. I centri urbani sono ben caratterizzati e comprendono piccoli villaggi di contadini e metropoli evidentemente ispirate a Hong Kong e ai suoi grattacieli. Le possibilità di spostamento sono molteplici, potendo contare su qualsiasi mezzo di locomozione (auto, moto, barche, elicotteri, jet..) e su un mercenario-tassista che risparmia lunghe (per non dire estenuanti) traversate alla ricerca del sito da cui attivare la missione successiva.
In Just Cause 2 tutto è orientato alla iperspettacolarizzazione, così, non stupisce lo stile di guida prettamente arcade del titolo, con collisioni ad alto tasso di esplosione e una gestione della fisica che spesso rende Rico Rodriguez una sorta di supereroe, in grado di saltare da un'auto in corsa ad un'altra senza problemi (e non dico nulla sul finale) e di uscire quasi indenne da cadute da almeno 10 metri d'altezza.
Il titolo Avalanche, però, è fortemente votato all'azione, incentrando sia le missioni principali che quelle secondarie sulla distruzione delle strutture governative. L'indicatore CAOS è quello che si deve tenere sempre d'occhio e questo la dice tutta sulla quantità di strutture date alle fiamme che vedrete deflagrare sullo schermo.
Infiltrarsi nelle basi nemiche, fare a pezzi i soldati e distruggere ogni serbatoio, ciminiera, gasometro, torre dell'acqua, torre-radio risulta particolarmente godurioso.


Almeno i primi tempi.
Perchè superato l'abbocco estetico, Just Cause 2 è un'iterazione quasi ossessiva di assalto-esplosione-fuga con sporadiche pause legate al viaggio (troppo lungo in molti casi) che vi separa dal punto di attivazione della missione successiva.
Insomma, la puzza di occasione mancata è abbastanza forte, oltretutto con il rimpianto di una realizzazione tecnica ineccepibile (anche la gestione delle sparatorie mi sembra ben riuscita e, quanto ad IA dei nemici, ho visto di molto peggio).
A fronte di una storia stiracchiata e piuttosto banale (e di un doppiaggio in italiano ai limiti dell'indecenza), il titolo Avalanche non mi fa rimpiangere i 19.90 euro spesi (non lo consiglierei se non costasse così poco) e si prende le sue buone 15-20 ore per essere completato (almeno per quel che concerne la trama principale), offrendo poi la possibilità di continuare a seminare panico e fiamme per tutta Panau.
Ma come, ancora!?

Voto 6,5

lunedì 4 luglio 2011

Pausa Pubblicitaria





Ingredienti:
-il faccione tenero di Robin Williams barbuto
-una saga videoludica che ha fatto epoca
-sottofondo musicale che più gidierre non si può

Ogni volta che la becco, rimango incollato allo schermo.

sabato 2 luglio 2011

Popcorn: Blue Valentine



Io non sono un grande fan dei film sull'Amore; penso di poter contare sulle dita di una mano le pellicole che mi hanno impressionato a riguardo.
E posso dire senza vergogna che mi fa paura la prospettiva di rivederli, tanta e tale è l'empatia che mi trovo a sviluppare quando la rappresentazione della grande A non è mai banale, ma sofferta (che ha tutt'altro significato di "strappalacrime") e realmente vissuta.
Già questo mi sembra un motivo sufficiente per consigliarvi questo Blue Valentine.
Non c'è niente di rivoluzionario nel lavoro di Derek Cianfrance quando alterna, con stile quasi documentaristico, le fasi dell'innamoramento tra Dean e Cindy allo sfaldamento del nucleo familiare costituito tanto faticosamente; eppure, è un film che trasuda autenticità, passioni, tensioni, gioie e dolori.
Vita vera, insomma.
Due persone completamente diverse (il bambinesco candore di Dean contro la disillusa confusione di Cindy), due realtà quasi antitetiche che vanno ad incastrarsi perfettamente con gli alti e bassi vissuti dalla coppia nella cronistoria alternata che il regista porta avanti fino alla fine, arrivando ad una climax che mostra la felicità di un matrimonio tanto umile quanto desiderato, immediatamente seguita dalla sagoma di un Dean stempiato e appesantito che
, distrutto, si allontana da quella famiglia che non aveva mai sognato, salvo poi accorgersi di desiderarla fortemente.
In un film del genere, è ovvio che il 70% (minimo) della riuscita dipenda dai 2 attori principali; e se almeno Michelle Williams ha ricevuto la consolazione della nomination per l'Oscar, rimane un mistero il motivo per cui un gigantesco Ryan Gosling (niente male per uno cresciuto a Disney Club e Young Hercules) sia stato bellamente ignorato dall'Academy.
Ma tant'è, The Millionaire ne ha vinti 8 di pelatini dorati...chissenefunken.
Rimane il piacere di godersi un duetto recitativo veramente convincente; tanto tenero nel descrivere il corteggiamento e i primi giorni felici, quanto nervoso e usurato dal tempo nelle fasi conclusive (il cui centro nevralgico è la tristissima notte nella "Future Room" di un motel).
E se tutto questo non vi basta, calo un altro pezzo da novanta e ci metto una meravigliosa colonna sonora curata dai grandiosi Grizzly Bear.
E se siete realmente incontentabili, non so proprio che farci.
Cazzi vostri, vi perdete un gran bel film.


Voto 8+


"I feel like men are more romantic than women. When we get married we marry, like, one girl, 'cause we're resistant the whole way until we meet one girl and we think I'd be an idiot if I didn't marry this girl she's so great. But it seems like girls get to a place where they just kinda pick the best option... 'Oh he's got a good job.' I mean they spend their whole life looking for Prince Charming and then they marry the guy who's got a good job and is gonna stick around."