martedì 20 luglio 2010

Popcorn: Broken Flowers






E' difficile essere obiettivi quando si parla di un film con Bill Murray.
Sul serio, per me che nei primi anni '90 ero un pischello quando lui sfornava successi a ripetizione, quest'uomo è un automatico rimando alla mia infanzia, a quando ridevo alle battute di Peter Venkman in Ghostbusters capendone meno della metà (è merito suo se ho scoperto che la parola "spazzola" può indicare ben altro che uno strumento per pettinarsi); e ancora oggi, ogni Natale, spero in una riproposizione in tv di SOS Fantasmi o di Ricomincio da capo.
Capirete, quindi, che sono abbastanza di parte.
Ma credetemi, questo film merita, eccome.
Per quanto obiettivamente possa essere poco credibile come playboy incallito, il buon vecchio Bill costruisce un personaggio tragicomicamente perfetto.
Una lettera anonima, che lo informa dell'esistenza di un figlio, spinge il vecchio Don Johnston a intraprendere una sorta di via crucis delle ex fiamme e potenziali madri.
E' una commedia amara, quella che Jim Jarmusch costruisce intorno all'ex-acchiappafantasmi: un uomo che, improvvisamente, s'imbarca in un revival della vita che fu per capire cosa salvare della vita attuale.
E per quanto la storia regali momenti divertenti (mai però vi scapperà una risata fragorosa), c'è un mood di tristezza, in sottofondo, impossibile da non notare. Lo si vede dall'espressione perennemente fiacca del protagonista (emblematica la scena in cui osserva la strada dal balcone, un po' come ha osservato la vita), dal cromatismo grigio della fotografia (solo a tratti intervallato dal rosa dei fiori e dei mille indizi sparsi nel film), dai lunghi silenzi nei dialoghi con le vecchie fiamme, simbolo dell'usura dei legami e dell'impossibilità di comunicare.
La monoespressione di Bill Murray è pienamente sensata e motivata nel contesto della trama: è manifesto dello smarrimento e della deriva su cui il suo Don ha poggiato la propria vita e basato gli affetti; un vagare senza meta che trova ordine solo quando l'amico con l'hobby dell'investigazione gli predispone per intero un viaggio che, fosse dipeso da lui, probabilmente non avrebbe mai intrapreso, rimanendo sul divano a vedere e rivedere un vecchio film su Don Giovanni.
E le varie rimpatriate, anch'esse non prive di spunti di riflessione sull'infelicità (dalla splendida vedova Sharon Stone all'algida imprenditrice con passato da hippie di Frances Conroy), non fanno che acuire il senso di "occasione mancata" che il protagonista nutre nei confronti della propria esistenza, al punto da indurlo a tentare di porvi rimedio con tentativi maldestri; esemplare è la scena del pranzo offerto al ragazzo in viaggio: una goffa (e tenera) intenzione di essere paterni, sinceramente affettuosi, nel dire "Bene, il passato è passato, questo lo so. E il futuro non è ancora arrivato. Qualunque cosa sia, dunque, l'unica cosa che esiste è questa. Il presente. Così è."
Come in altri film di Jarmusch, il commento musicale è una perla dentro la perla; le musiche di Mulatu Astatke, padre dell'ethio-jazz, e il gusto retrò di Holly Golightly & The Green Hornets, sono un perfetto accompagnamento sonoro per il viaggio di Don, in giro per un'America, raramente così nebbiosa e plumbea, quasi adeguata all'umore del protagonista. Una sorta di meteoropatia all'inverso.
Penso siano sufficienti motivi per consigliarne la visione.
E nonostante le premesse di parzialità, direi che può apprezzarlo anche chi odia Bill Murray (se mai esista qualcuno che non lo trovi simpatico).

Voto 8

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