lunedì 2 maggio 2011

Revisioni: Green Day



Quando avevo 12 anni, portavo i capelli corti, le orecchie a sventola e delle oscene camicie gialle di velluto (non chiedetemi perchè ricordo questo particolare). Ero il classico secchione sfigato che teneva il conto di quante volte aveva salutato col bacio la sua compagna più carina (che ovviamente nel frattempo pensava ai ragazzi più grandi).
Chiusa la parentesi nostalgica.
Il mio allora migliore amico, nonchè compagno di banco, nonchè ex compagno delle elementari, un giorno spuntò in classe con i jeans pieni di spille da balia, un paio di converse rosse e un bracciale borchiato. Cominciò a riempire i banchi di A contornate da un cerchio e di "PUNX NOT DEAD" e mi disse: "Ti devo fare una cassetta".
Già, i bei tempi delle musicassette. Di quando ne compravi una, tutto felice, da un marocchino, arrivavi a casa, la piazzavi speranzoso nello stereo, premevi PLAY e il nastro schizzava fino al tetto, con buona pace delle cinquemilalire tenacemente risparmiate durante la settimana.
A 12 anni (1998), grazie all'amico punk di cui sopra, ascolto per la prima volta Basket Case.
In realtà, scoprii molto dopo che il titolo era effettivamente quello: uno dei problemi delle musicassette fatte in casa era l'identificazione di autore e canzone. La mia fonte era quasi sempre inaffidabile (oltre ad essere una sega in inglese), quindi la storpiatura di un titolo o l'attribuzione di un brano a un gruppo piuttosto che ad un altro era la normalità
(per almeno 1 anno ho pensato che la band di Basket Case e di Smells Like Teen Spirits fosse la stessa).
A quel nastro, comunque, risale il mio amore per tutto ciò che è catalogabile come rock e in generale a qualsiasi nota io ascolti adesso.
Perchè, alle medie, quando raggiungi l'apice dell'influenzabilità, le cose sono 2: o finisci nel vortice della musica da discoteca o preghi affinchè appaia un santone che venga a dirti "ascolta questa canzone".
A quel punto sei salvo.
O sei talmente sfigato che l'amico santone ti passa un nastro con gli Articolo 31.
Io mi sono salvato, per fortuna.
Vi risparmio le modalità di rifornimento musicale ai tempi del liceo, anche perchè poi spuntò Internet a rendere tutto più facile, e quindi passo, stavolta sul serio, ai Green Day.
Cominciamo dalla fine, o quasi.
Cercando di essere più obiettivo possibile, cosa sono oggi Billie Joe Armstrong e compagni?
Tre macchiette.
American Idiot è stato un dono e una dannazione al tempo stesso. Voler applicare al punk l'idea di un concept-album fu lodevole, e quasi universalmente apprezzata (da critica e masse).
Il successo di vendite del 2004 non è neanche lontanamente paragonabile al boom di Dookie di 10 anni prima.
Nel '94 c'era solo MTV a decidere se un disco fosse un successo oppure un flop; oggi, chiaramente, questo discorso non vale. I media si sono potenziati, amplificati e capillarizzati, reificando la parola "worldwide" che fino a qualche tempo fa aveva lo stesso significato di "megagalattico".
Forti di quel successo, e reduci da 3 album meno fortunati in termini di vendite, i Green Day fiutano la preda e capiscono che l'unico modo per cavalcare l'onda è non deludere i/le fan 2.0 e proseguire su questa strada/china.
Imbottite i testi di un impegno politico all'acqua di rose, virate il look su uno stile più emo-friendly possibile, trasformate il punk in un rockettino da stadio, pulito e da radio, e avrete 21st Century Breakdown, punto più basso della loro discografia.
Non a caso, American Idiot è considerato una sorta di spartiacque per i fan: da una parte c'è chi ha amato le aggressive melodie degli anni '90 (e che concede una speranzosa ascoltata alle nuove produzioni, augurandosi un ritorno alle origini), e dall'altra le ormonose che si scoperebbero Billie Joe, qualsiasi cosa canti.
Ma vediamo i singoli album, và.


1039/Smoothed Out Slappy Hours: è una raccolta dei primi 3 EP pubblicati con la Lookout Records. Non c'è Tre Cool alla batteria ma John Kiftmeyer (al minimo sindacale), eppure si intravede la bontà della ricetta, in questo punk annacquato tra Ramones e Beatles. Going To Pasalacqua, I Was There e Disappearing Boy ne sono i migliori esempi. Voto 6,5

Kerplunk!: stavolta devo fanculizzare l'obiettività. No One Knows è una delle mie canzoni preferite in assoluto: magnifico giro di basso, testi perfetti, voce adolescenzialmente splendida. Se poi aggiungiamo che tutto il disco è su livelli eccellenti (è un saggio della classe pop dei Green Day) e mi risulta difficile scegliere un altro brano che emerga rispetto agli altri, capirete perchè, a mio parere, Kerplunk! se la giochi quasi alla pari con il disco di cui sotto, come migliore della discografia. Voto 8

Dookie: 36 minuti che vi sembreranno 36 secondi. Un disco perfetto, dalla prima all'ultima traccia, con la marcia in più di 3 singoli potenti, immediati e, nel loro piccolo, storici. I puristi s'incazzeranno, ma per me questo è uno dei dischi fondamentali degli anni '90. Potrei dire che Coming Clean è la perfetta canzone sotto il minuto e mezzo o che l'esplosione di F.O.D è puro orgasmo, ma sarebbe superfluo. Voto 9

Insomniac: quando non assecondavano le masse e le case discografiche, subito dopo il boom popolare di Dookie, i Green Day tirano fuori il loro disco più tirato e nichilista. Sale in cattedra il basso di Mike Dirnt che si prende la scena in più di un'occasione (da Stuck With Me a Panic Song, passando per 86) per un album che conserva la compattezza del predecessore ma se ne frega di piacere a tutti. Un paio di battute a vuoto concentrate nel finale, ma le prime 10 canzoni sono inattaccabili. Voto 7,5

Nimrod: un parto sofferto, dopo 3 anni di tour ininterrotto, per l'album più variegato della band. Toccano tanti generi, persino lo ska, alcune volte con successo (vedi King For A Day), altre con risultati trascurabili (ancora mi interrogo sull'utilità della strumentale Last Ride In). Il risultato è che le 18 tracce proposte conferiscono un senso di disordine generale, a fronte di singoli pezzi che funzionano, eccome, vedi Hitchin' A Ride, Time Of Your Life e Redundant. Avessero sfrondato qualcosa, Dookie avrebbe avuto un altro concorrente. Voto 7-

Warning!: altro frutto di lunga gestazione e, a mio parere, il loro album più sottovalutato. I ritmi punk si travestono di rockabilly con risultati ambivalenti: entusiasmano in Blood, Sex And Booze (altro brano che adoro), Waiting e Minority, ma suonano un po' anonimi in Church On Sunday, Deadbeat Holiday o Jackass. L'intenzione è lodevole e anche alcuni esperimenti (inusuali per i loro standard) come Misery o Macy's Day Parade non sono affatto male. Poteva essere una premessa interessante per il prosieguo, ma il pubblico li snobba e decidono di cambiare strada. Voto 7

American Idiot: come detto sopra, croce e delizia. Analizzate le ragioni del croce, passiamo alla delizia, perchè, innegabilmente la coniugazione del progetto di rock-opera a un genere veloce per definizione come il punk, poteva apparire quantomeno rischiosa. Eppure, i Green Day riescono nell'intento e, tolti alcuni inutili riempitivi (Extraordinary Girl e Are We The Waiting), American Idiot dosa con maestria la magniloquenza insita nei concept album (Jesus of Suburbia è un signor brano di 9 minuti) con i classici 4 accordi catchy della title-track o di Holiday. Nel mezzo, le ballads strappalacrime e acchiappapupe Boulevard Of Broken Dreams e Wake Me Up When September Ends (100 volte meglio quest'ultima) ed un paio di momenti punk-old style come Letterbomb o St. Jimmy che contribuiscono alla riuscita del disco. Voto 7,5

21st Century Breakdown: la cosa strana è che c'hanno messo 5 anni a realizzarlo. Uno si aspetta un cambiamento epocale e si ritrova con la bruttissima copia di American Idiot. Riproposto il concetto della rock-opera, mancano almeno 3 cose: le canzoni (un'accozzaglia di pezzi senza nè arte nè parte), le idee (perchè la rabbia anti-Bush, più o meno autentica, del 2004, qui non trova un destinatario preciso e sembra più palesemente un escamotage attira-teenager) e lo stile (perchè su 19 canzoni, gli echi punk del passato riecheggiano in massimo 2 brani, lasciando al resto quell'impronta di merdarock che piace tanto a quegli sfigati che nel 2011 utilizzano ancora MTV come proprio guru musicale). Voto 3

Sorvolando sui side projects di Mike Dirnt (le due demo dei Frustrators restano comunque un ottimo punk melodico con cui svagarsi) e di Billie Joe Armstrong (i Pinhead Gunpowder non mi hanno mai fatto nè caldo nè freddo), meritano, invece, una citazione a parte 2 lavori riconducibili al marchio Green Day, nati dalla voglia di cazzeggio e sperimentazione del trio di Berkeley.

The Network - Money Money 2020: 40 minuti scarsi molto cazzaroni ma piacevoli, nell'intento di un omaggio a quel gruppo geniale che risponde al nome di DEVO (uno di loro viene reclutato per l'occasione). E' un palese divertissement, fatto di sintetizzatori, tastiere e melodie superimmediate, ma che vale la pena ascoltare. In mezzo a tanto cazzeggio, tra parentesi, si trova una delle mie canzoni preferite dei Green Day, Roshambo. Voto 6,5

The Foxboro Hot Tubs - Stop, Drop And Roll: nati con lo stesso intento dei Network, cioè staccare momentaneamente la spina dai GD per provare a fare altro, i Foxboro ammiccano al rock'n'roll anni '60-70 avvicinandosi tantissimo agli esperimenti rockabilly di Warning. Pezzi come Mother Mary, Pedestrian o la title-track non avrebbero affatto sfigurato in nessun album del gruppo-madre, e anche questa fuga dai Green Day si rivela riuscita (e un po' più sensata dei Network). Voto 7

Non ho citato i 3 live rilasciati finora, sia per essere sicuro che almeno un paio di disperati/esasperati arrivassero a leggere queste righe, sia perchè non aggiungono nulla di nuovo sotto il sole. Per chiudere questo megaexcursus, non mi resta che affidarmi a una citazione tratta da un loro video, sperando che il prossimo album mi convinca a farmi amare (o quantomeno ascoltare senza dire "che merda") anche la seconda metà della loro carriera.


Nice guys finish last, but Green Day always finish first!




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