lunedì 30 maggio 2011

Dischi Del Mese: Maggio '11




Nonostante, inizialmente, il mio gusto per l'orrido avesse avuto la meglio, dopo un provvidenziale ravvedimento sulla via di Damasco, a spuntarla per la copertina del mese è il nuovo dei Fleet Foxes, con buona pace dei Tv On The Radio, la cui cover è probabilmente una delle più brutte di sempre.


Tv On The Radio - Nine Types Of Light: ebbene ce l'hanno fatta. Prima o poi doveva capitare; voglio dire, quando in un gruppo ci sono almeno tre signore teste pensanti (David Sitek, Kyp Malone e Tunde Adepimbe o Adembimpe o Ambimblè, fate voi) è già un miracolo che non sia successo negli album precedenti. Anzi, è già un miracolo che i dischi finora partoriti siano riusciti più che bene, specie il sopracitato Dear Science. Ma stavolta non si scappa: hanno sbrodolato di brutto. La materia prima su cui lavorano è ottima, come sempre, ma la condiscono troppo, specie Sitek, arricchendola in fase di produzione quasi fino alla pacchianeria. E se è vero che alcuni momenti conservano il fulgore del passato (a me Repetition e Caffeinated Consciousness piacciono assaje, e la stessa Second Song iniziale non è affatto male), in altri si perde un po' di quella vis che caratterizzava il passato (Will Do è carina ma non è Wolf Like Me, per dire). In definitiva, il disco è discreto, ma per i loro standard è il più scarso. Voto 6


Glasvegas - Euphoric///Heartbreak: uno dei dischi peggiori di quest'anno. Senza tanti giri di parole, ridondante, fastidiosamente pomposo, privo di spunti melodici degni di nota e senza un briciolo di personalità. Non perdete tempo neanche a scaricarlo che non ne vale la pena. Magari provate il primo album che un paio di canzoni salvabili ci sono. Qua no. Voto 2

Fleet Foxes - Helplessness Blues: dopo aver sottolineato il gran gusto estetico di Pecknold e compagni in fatto di copertine, passiamo al disco. Helplessness Blues prosegue sulla falsariga del fortunato esordio con aggiunte psichedeliche che vanno a dilatare quel sound sognante ed elegiaco fatto di cori armoniosi e melodie calde. Sono il classico gruppo da tramonti estivi e falò sulla spiaggia e sono il miglior sottofondo possibile in tali occasioni; manca solo la canzone che ti entra subito in testa, com'era stata White Winter Hymnal del disco d'esordio, ma va bene uguale. Voto 7

Elbow - Build A Rocket Boys!: il gruppo di Guy Garvey si conferma su uno standard consolidato di gradevolezza e qualità, a distanza di 3 anni dall'ottimo The Seldom Seen Kid. L'inconfondibile voce del leader è sinuosa ed elegante fin dalle prime battute (dalla lunghissima The Birds al ritmo a battimano di With Love). Teneri gli episodi di Jesus Is A Richdale Girl e The Night Will Always Win cui fanno seguito alcune tracce un po' insipide, a dire il vero, per arrivare alla splendida conclusiva Dear Friends. Più che promossi, comunque. Voto 7-

Okkervil River - I Am Very Far: il problema del rock-folk di Decemberists, Okkervil River e compagnia bella è solo uno: cercare di non enfatizzare troppo la pomposità insita nel genere e, contestualmente, personalizzare lo stile, rendendolo unicamente riconoscibile. Detto questo, I Am Very Far è un disco molto di maniera e che tanto sa di compitino fatto col pilota automatico; loro possono permetterselo e tra qualche incursione pseudoelectro (non particolarmente riuscita) e un paio di insipidi tentativi anthemici, un paio di pezzi da conservare nell'I-pod si possono trovare in We Need A Myth e White Shadow Waltz. Voto 6-

Foo Fighters - Wasting Light:
da amare solo per il video che vedete qui sotto, Dave Grohl e compagni decidono di ritornare alle origini recuperando quell'atmosfera nirvaniana da cui sempre hanno cercato di sfuggire. Così, ritorna Butch Vig alla produzione (ha curato le registrazioni di Nevermind, mica cazzi), viene aggregato in pianta stabile Pat Smear (che era la seconda chitarra nei tour di Cobain e soci) e in un paio di pezzi spunta pure Kris Novoselic. Viene fuori il disco più tirato dei Foo Fighters, tra momenti riuscitissimi (la White Limo di cui sotto o l'apripista Bridge Burning) e altri un po' più fiacchi come Arlandria o il singolo Rope, che non mi entusiasma granchè al primo ascolto. La cosa buona di Wasting Light è la sua natura unitaria: per una volta, Grohl se ne frega di accontentare l'orecchio mainstream e non regala i soliti brani easy che una major può importi; tiene premuto l'acceleratore dalla prima all'ultima traccia per il disco più muscoloso e compatto dai tempi di The Colour And The Shape. Voto 7,5











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