mercoledì 29 dicembre 2010

(I Would) Like A Hurricane



Bella giornata di merda che è oggi. Cielo grigio anonimo, freddo pungente ma non da assideramento, raffreddore e mal di testa fedeli compagni di un risveglio troppo precoce, troppo violento.
E così sono qua, davanti a questa pagina ad ingannare un'altra ora di questo 2010. Scampoli di 2010.
Si prospetta, come da tradizione, un altro capodanno all'insegna della noia (e chi si annoia a capodanno...), in barba al conformismo del divertirsi per forza, del sorridere a denti stretti, o con rabbia, per mandare affanculo un altro anno di merda, o semplicemente insignificante.
Cosa mi resta di questo 2010? Poco, molto poco.
Qualche risata, qualche amicizia, pochi legami veri, niente che faccia palpitare il cuore e mi sottragga da questa stasi.
Sono quei momenti in cui il narcisismo dell'anticonformista (o del presunto tale, o dello sfigato, fate voi) lascia il posto all'invidia per l'uomo medio: quello che tra 72 ore circa berrà champagne, mangerà cotechino e lenticchie, ballerà alla facciaccia nostra (o vostra, rifate voi) ricordandoci che, forse forse, alla fine della fiera, il vero furbo è lui, che si diverte, e anche se ha avuto un anno un po' così, il 31 vuole fare baldoria, perchè lui è più forte.
Io nel frattempo lo fisso, immobile, come sono stato per quasi tutti questi 12 mesi, sperando in quella folata di vento così brusca da farmi vacillare, ma niente: giusto un paio di millimetrici spostamenti dei piedi per riprendere l'equilibrio.
Tempo di propositi, ma non ne faccio, tanto non li rispetto. Prendetela come una forma di scaramanzia.
Speranze? Quelle sì, ne ho. Ma non mi va di entrare nel dettaglio; preferisco racchiuderle sotto la voce 'pace interiore', che comprende tutto e niente, e per questo è la più esaustiva possibile.
Faccio una doccia, và.
Ai lettori (e visitatori anche solo per un clic sbagliato), auguro un buon 2011, e che sia davvero un buon anno. Viceversa, ci si rivede qui tra 12 mesi, e vada a farsi fottere quel coglione che balla come un disperato l'ultima hit di Lady Gaga e ha una lenticchia nei capelli.
L'hipster è tornato.


The National - Bloodbuzz Ohio




See you, Space Cowboys....

lunedì 20 dicembre 2010

Dischi Del 2010



Niente Dischi Del Mese, stavolta, ma, dato che va di moda in questo periodo, una sana top ten dei migliori album di quest'anno.

E quindi...


10. Kanye West - My Beautiful Dark Twisted Fantasy
9. Sufjan Stevens - Age of Adz
8. Grinderman - Grinderman 2
7. The National - High Violet
6. Danger Mouse & Sparklehorse - Dark Night Of The Soul
5. Klaxons - Surfing The Void
4.
MGMT - Congratulations
3. Arcade Fire - The Suburbs
2.
Vampire Weekend - Contra
1.
Sufjan Stevens - All Delighted People

Note a margine:
Sufjan Stevens è un genio assoluto.

The Suburbs è un buon album, ma non da 9 come leggo un po' ovunque.
Devo ammettere che il disco di Kanye West è veramente ben fatto.
MGMT e Klaxons sono stati ingiustamente snobbati.
Nick Cave quasi quasi lo preferisco nei Grinderman.
RIP Mark Linkous AKA Sparklehorse

E giusto per non essere tacciato di esterofilia estrema, ecco una top five di dischi italiani del 2010

5. Malika Ayane - Grovigli
4.
Beatrice Antolini - BIOY
3.
The Niro - Best Wishes
2.
One Dimensional Man - The Box
1. Baustelle - I Mistici Dell'Occidente

(ok, su un paio di posizioni italiane ho barato spudoratamente ma vabbè..)


E buon Natale a tutti!

mercoledì 15 dicembre 2010

Scilipoti Christmas Sale






Si può abolire dall'uso corrente la parola "onorevole" riferita a questa massa di cialtroni, please?

martedì 14 dicembre 2010

Dexter - Stagione 5


Eravamo rimasti a uno dei finali più disturbanti che mi sia mai capitato di vedere, con il bagno di sangue di Rita, esanime nella vasca, e le urla strazianti del piccolo Harrison, sotto gli occhi sperduti di Dexter.
La quinta stagione riprende esattamente da quel punto, mostrandoci lo smarrimento e il disagio di un uomo (ormai non più freddo e insensibile come nelle prime 2 stagioni) che in fondo aveva iniziato quella relazione come copertura per il suo particolare hobby, salvo poi scoprire nel tempo che forse Rita era qualcosa di più di un alibi.
I primi episodi servono sia a noi che a Dexter per cercare di rimettere a fuoco la situazione post-perdita, tra figli, lavoro e un omicidio per svago, Boyd Fowler.
Il rituale che porta questo addetto alla rimozione delle carcasse degli animali sul tavolo del nostro serial killer preferito nasconde però una sorpresa: una donna in soffitta, Lumen.
Da qui (siamo intorno al quarto episodio), inizia il rapporto centrale di questa quinta stagione: una sorta di sindrome di Stoccolma più complessa e sfaccettata.
Dopo un'iniziale fase di diffidenza reciproca, infatti, Dexter scopre in Lumen una possibilità di redenzione per la morte di Rita, decidendo di aiutare la ragazza nell'eliminazione dei suoi aguzzini, guidati dal guru Jordan Chase (un Jonny Lee Miller seduttivo e inquietante al tempo stesso).
Catarsi e vendetta in un intreccio di complicità che tanto si avvicina all'amore e che autori e attori hanno il merito di rendere credibile, per nulla banale, e perfino romantico.
L'alchimia che si crea tra Michael C.Hall e Julia Stiles è eccellente, candida e allo stesso tempo perversa, di reciproco bisogno e sostegno, efferata e risoluta nell'uccisione della gang di stupratori.
Se si temeva un tracollo, in termini di suspense, con la dipartita di quel gigante che nella quarta stagione è stato John Lithgow (non a caso premiato con un Golden Globe), una volta ingranata, anche questa quinta non delude in termini di tensione e ansia.
Anche perchè i pericoli non vengono solo da Jordan Chase & friends.
Quinn, infatti, dubbioso su come mai Trinity avesse scelto proprio Rita, recluta l'ex poliziotto Stan Liddy (anche qui, bravissimo Peter Weller) per indagare su Dexter e scoprire eventuali connessioni con il killer della stagione precedente.
Arrivato più volte a un passo dal tassello mancante per il completamento del puzzle, Quinn finisce per desistere, visto il crescente sentimento per Debra.
Proprio quest'ultima risulta il character più rafforzato da questi 12 episodi.
Almeno questa volta, infatti, la liason sentimentale stagionale non risulta essere l'unico elemento interessante (da un punto di vista narrativo) per il personaggio interpretato da Jennifer Carpenter: Debra ormai è una donna forte (te credo, ne ha passate di tutte), con un fiuto superiore alla media del suo dipartimento (non che ci voglia molto, ma vabbè..) e che intrattiene dei dialoghi "etico-morali"molto significativi nell'ottica del futuro smascheramento del fratello.
A questo proposito, non si può non fare riferimento all'episodio finale (appena visto).
Il velo di Maya non è stato squarciato, Debra ha salvato la coppia di vigilanti; empatia con Lumen, empatia con il concetto di coppia, fate voi. Sta di fatto che il momento, che il trailer furbescamente lasciava presagire fosse arrivato, è rimandato.
La questione Quinn-Liddy viene risolta un po' troppo semplicisticamente ma il sospetto è che continuerà a tenere banco l'anno prossimo.
Per il resto, il finale ha un vago sapore di happy end (e questo un po' mi dispiace), nonostante sostanzialmente Dexter torni da solo e lo sguardo con cui si conclude l'episodio esprime tutto fuorchè una volontà di redenzione.
Una stagione canonica, insomma, direi quasi lineare: la storia accelera intorno al quarto episodio, la climax sale in maniera vertiginosa fino all'ultimo dove, anche per questa volta, gli eventi si risolvono al minuto 30 circa, lasciando gli ultimi 20 a riflessioni e trame secondarie.
Il senso di reset dell'ultimo episodio fa storcere il naso a quanti (più o meno tutti, visto che siamo alla quinta stagione e sarebbe anche ora) speravamo in un evento che segnasse definitivamente Dexter, mettendolo a dura prova in previsione della sesta ed ultima stagione.


Voto 7-

lunedì 13 dicembre 2010

Popcorn: The Town




Avendo dei seri problemi con le introduzioni dei post, mi viene in mente il video di Jennifer Lopez dove, tra una chiappa e l'altra, si vede lei intenta a rosolarsi al sole sul suo yacht con il fidanzato di allora (Ben Affleck) che fanculizza il finto paparazzo del videoclip.
Che tamarrata.
Ecco, più o meno da allora, Ben Affleck mi ha fatto un'antipatia che sarebbe più facile assimilare all'orticaria.
Un'allergia, irrazionale, inevitabile e scatenata al minimo contatto.
Al contrario, l'amichetto di infanzia, Matt Damon, mi è sempre stato simpatico, vuoi per la faccia un po' da fesso, vuoi perchè più o meno tutti i suoi film che ho visto mi sono piaciuti. (ok, a parte Syriana che mi ha fatto sbavare mentre dormivo ma vabbè...)
Eppure questo "The Town", scritto, diretto e interpretato da Ben Affleck m'è garbato parecchio.
Intendiamoci, niente di sconvolgente; qualche luogo comune qua e là (specie sulla comunità irish di Boston), alcuni immancabili stereotipi (il poliziotto tutto d'un pezzo, il boss fioraio, la lacrimosa bionda, fatta, e con figlio a carico) ma un heist movie solido, divertente e con tutti i crismi del buon film.
Non so se è il mio sistema immunitario a parlare ma, recitazione monoespressiva di Affleck a parte, il cast non è affatto male.
Jeremy Renner sembra ormai abbonato al ruolo dell'adrenalino-dipendente ma ha il merito di non rendere banale o grottesco il clichè del gangster incazzoso (e la sua scena madre è veramente notevole).
Jon Hamm è bravo ed essenziale nel proporre un federale realistico e credibile, nè troppo fesso, nè troppo furbo.
Infine, due parole su Rebecca Hall, il cui personaggio non mi convince appieno (soprattutto per l'innamoramento repentino), anche se forse il difetto è più da imputare alla sceneggiatura che non all'attrice e Blake Lively cui tocca il sopracitato ruolo della pupa piagnona e drogata; e lo fa bene.
Per il resto, Affleck ci sa fare (ebbene sì). La vicenda scorre che è un piacere, le scene d'azione sono veramente ben fatte, c'è un sapiente dosaggio di sentimenti ed emozioni ed i personaggi hanno il giusto pathos per rimanere impressi nella mente dello spettatore.
Le strizzate d'occhio al cinema di Michael Mann sono più che evidenti, ma dove sta scritto che questo è un difetto?


Voto 7+

venerdì 10 dicembre 2010

The Walking Dead 1x06: "TS-19"





Qualche giorno fa avevo letto una news riguardo a un repulisti di autori ordinato da Frank Darabont, in previsione della seconda stagione di The Walking Dead.
A vedere questo season finale, è difficile non dargli torto (certo, lui è lo showrunner, quindi le colpe andrebbero equamente divise), perchè questo TS-19, più che un degno capitolo conclusivo di una ministagione di soli 6 episodi, pare essere un episodio filler di una serie di 25.
Con ordine.
Eravamo rimasti al gruppo che veniva accolto dal reticente scienziato del CDC nella struttura, rimasta ormai vuota. Dopo una doccia, una cena con molto vino e una spiegazione non-spiegazione sull'origine dell'epidemia (utile solo a chiarire che il Test Subject 19 altri non è se non la moglie di Jenner), veniamo a sapere che quando in un centro di controllo per il bioterrorismo finisce la corrente elettrica, un sistema di autodifesa garantisce la decontaminazione perfetta dell'ambiente nell'unico, migliore, modo possibile: una megaesplosione. (dalla quale si salveranno tutti tranne lo stesso Jenner e la tizia di colore che lavorava al catasto, bye bye, we'll miss you)
Sorvolando su questa premessa, già di per sè risibile, il risultato finale è il confezionamento di un episodio totalmente estraneo per atmosfere e sviluppo narrativo ai 5 precedenti.
Come definire se non "azzardo" ambientare un'intera puntata (perdipiù l'ultima della prima stagione) in uno scenario totalmente diverso da quello a cui lentamente ci si stava abituando e soprattutto senza mostrare neanche uno zombie in 47 minuti?
E poi, quanto perde in impatto emotivo la morte di un membro del gruppo di superstiti se precedentemente non ci si è minimamente interessati ad approfondirlo? (in qualsiasi forum, blog, stato di facebook, noto che il nome della tipa di colore che decide di rimanere e farsi saltare in aria è praticamente sconosciuto)
L'episodio paga una eccessiva stilizzazione nella caratterizzazione dei personaggi (ma questa è una pecca che The Walking Dead si porta sul groppone dal secondo episodio), facendo ripercuotere questa scelta sulle scene, in teoria, presupposte a far maggiormente breccia nell'animo e nella mente dello spettatore.
Lo stesso Rick, di cui non conosco la controparte fumettistica, in 6 puntate appare eccessivamente modellato sul fenotipo del cavaliere senza macchia e senza paura, sempre a parlare di "speranza e del buono che c'è in ognuno di noi e bla bla bla". Nonostante la sceneggiata napoletana del "mi faccio saltare in aria"-"no dai, vieni"-"no resto qua"-"allora resto pure io"-"allora andiamocene", Andrea rimane il personaggio meglio tratteggiato e più convincente nella sua umanità fatta di disperazione e risoluzione. Se poi ci aggiungiamo che di walking deads, in questo season finale, se ne vedono 3 negli ultimi 20 secondi, la delusione aumenta.
Nella seconda stagione, Shane promette di essere più scheggia impazzita di quanto non lasciasse presagire Daryl Dixon, sperando che le nuove penne reclutate da Darabont facciano un lavoro migliore. Intanto i "Days Gone By" sembrano veramente andati e lontani.


Voto 5


PS: In conclusione, non ci resta che confidare nella AMC per il prossimo anno, sperando che la climax discendente (qualitativa e narrativa), che ha caratterizzato la prima stagione di The Walking Dead, non diventi una peculiarità di questa serie. E basta season finale con esplosioni!! Cinque stagioni di Lost non hanno insegnato proprio nulla?

giovedì 9 dicembre 2010

Prospettiva Nevskij



Mettere a fuoco il punto. Quello è il punto.
Oggi mentre guidavo e ascoltavo musica alla radio, si è infiltrato un pensiero nella mia mente, allargandosi a macchia d'olio tra sinapsi e neuroni.
Mi piacerebbe essere una di quelle persone che alla vista di un panorama si lasciano abbagliare da quello che c'è e che si impone alla loro vista, anzichè acuire lo sguardo in cerca di imperfezioni e buchi neri, contenenti chissà quale galassia.
In fondo, è tutta una questione di prospettiva.

giovedì 2 dicembre 2010

The Walking Dead 1x05: "Wildfire"


Dopo l'assalto del precedente episodio, il gruppo si trova a dover fare piazza pulita di Walkers e vittime con Daryl che propone un bel falò collettivo e Glenn che si oppone richiedendo una degna sepoltura per chi è morto per mano degli zombies. Toccante e per nulla patetica (merito di Laurie Holden) la veglia di Andrea sul corpo della martoriata sorella e il "Ti voglio bene" pronunciato due secondi prima che la rediviva Amy cercasse di morderla, salvo beccarsi una pallottola nel cranio. Non meno triste, e altrettanto ben reso, risulta l'abbandono di Jim, morso al torace durante l'assedio e ormai prossimo anch'egli alla trasformazione.
L'ottima prima parte dell'episodio è completata da un'escursione di Rick e Shane dove quest'ultimo libera per un attimo la rabbia repressa nei confronti del (presunto) migliore amico, quasi cedendo alla tentazione di sparargli di nascosto nel bosco.
Nella seconda parte, invece, l'attenzione si sposta su uno scienziato alle prese con la solitudine e gli effetti dell'alcol, unico abitante del centro del CDC, verso cui Rick e compagni sono diretti.
Per quanto questo nuovo personaggio appaia un po' bidimensionale, l'episodio scorre bene; meglio che in "Tell It To The Frogs", l'approfondimento psicologico dei superstiti risulta meno scontato e più carico di pathos. La già citata scena di Andrea ed Amy è finora uno dei momenti di maggiore splendore della serie, per l'impatto e l'enorme tristezza nel vedere i primi respiri ansimanti della sorella appena diventata un Walker.
A mio parere, miglior episodio insieme al pilot, finora: finalmente un'ottima combinazione di tecnica e pathos, un po' latitante fino a questo momento.
Aspettiamo il finale di stagione per una valutazione definitiva.



Voto 8

lunedì 29 novembre 2010

Buon Viaggio, Leslie




Mi piace pensare che tu abbia preso per l'ultima volta l'aereo più pazzo del mondo.
"Fai ridere una persona e l'hai già conquistata" è una grande verità. Non so chi l'ha detta ma resta una grande verità.
Grazie per tutte le risate che mi hai strappato a 5,10,15,20 e 24 anni e per aver influenzato così tanto il mio scemo, cazzone e cazzaro umorismo.

Dal sito di Repubblica:


Amava ridere sul nomignolo di Laurence Olivier della commedia: "Suppongo che questo renda Laurence Olivier il Leslie Nielsen di Shakespeare", diceva.

venerdì 26 novembre 2010

Dischi Del Mese: Novembre '10



Novembre di vacche magre, con poche uscite, qualche flop, qualche conferma ma nulla di sorprendente. Quindi, anche se non novembrino, ne approfitto per recensire uno dei dischi più belli, a mio parere, di questo 2010. Andiamo con ordine.

Danger Mouse & Sparklehorse - Dark Night Of The Soul: eccola la genialata di quest'anno. Una folle collaborazione tra uno dei produttori più in voga del momento (non un grandissimo onore se si pensa che è in compagnia di gentaglia come David Guetta, Timbaland o Bob Sinclar..) e un visionario Maestro del cinema come David Lynch. Da queste insane menti, nasce una specie di concept album fosco, notturno, da ascoltare in macchina, mentre le luci dei neon, tanto care al regista di Missoula, illuminano l'atmosfera. Le ospitate si sprecano (Vic Chesnutt, Flaming Lips, Iggy Pop), ma i momenti migliori vengono da Julian Casablancas che diverte e si diverte in Little Girl, a Gruff Rhys e Nina Persson che regalano gli unici intervalli leggeri per chiudere con lo stesso Lynch che in Star Eyes e nella conclusiva title track (un'inquietante nenia uscita da un grammofono anni '20) contribuisce alla resa del clima spettrale e oscuro di cui il disco si permea. Gioiello. Voto 8,5

Le Luci Della Centrale Elettrica - Per Ora Noi La Chiameremo Felicità: già il primo lavoro mi aveva lasciato freddino, a dispetto dei numerosi elogi (e del premio Tenco), per una certa monotonia di fondo; sì è vero, di Vasco Brondi tutto si può dire tranne che rispetti la struttura-canzone, ma se quest'anarchia compositiva diventa essa stessa struttura, ecco spiegata la sensazione di ripetitività. Ma la verità è che il punto forte dello one man band emiliano sono sempre stati i testi e anche in questo lavoro, in fondo, il materiale c'è. Il problema è che se non si è mai sentito un disco delle Luci, non si riesce a capire se questo album è antecedente o seguente alle Canzoni Da Spiagge Deturpate e il motivo è semplice: sono pressochè identici. Non che mi aspettassi un'orchestra alle sue spalle per questo secondo lavoro, ma un minimo di ricerca, o di innovazione, quello sì. Repetita iuvant, ok, ma lo stesso messaggio a cui Vasco presta così tanta importanza rischia di affievolirsi se non accompagnato da un sostegno musicale vario e allo stesso tempo adeguato. Sprazzi di classe si trovano in Anidride Carbonica e Le Petroliere, il resto è un piccolo grande deja vu. Voto 5

Beatrice Antolini - BIOY: il mio giudizio è influenzato dal fatto che per me Beatrice, oltre che brava, è anche bona. E parecchio anche. Il precedente "A Due" era un collage riuscitissimo dei generi più svariati, dal j-pop al cabaret-burlesque stile Dresden Dolls passando per il funky, con parentesi sinuosamente dilatate come Morbidalga. In BIOY, la Antolini si lascia contaminare da sonorità electro, estendendo lo spettro di generi cui attingere, senza dimenticare quell'andamento nervoso (come in We're Gonna Live) che spesso la contraddistingue. Riesce a far collidere eleganza e barocchismo senza scadere nel pacchiano e rafforza la sua candidatura ad un ruolo di primo piano nella scena alternativa italiana. Voto 7

Scott Pilgrim VS. The World OST: partendo dal film che è un capolavoro per nerds, ovviamente la colonna sonora non può essere da meno con Beck, Broken Social Scene e Metric che si prestano alla band battle del film oltre a vecchi cavalli di battaglia di Rolling Stones, Black Lips e T-Rex. Il gioiello è Ramona in versione acustica di messer Hansen. Soundtrack da amare solo se si è visto il film (che non si può non amare). Voto 7,5

Futureheads - The Chaos: Last.fm dixit "Il nome fu scelto in omaggio al disco dei Flaming Lips Hit to Dead in the Future Head". Bene, col gruppo di Wayne Coyne, i Futurheads non c'entrano un cazzo. Ma non è necessariamente un male, anzi. Sono parenti stretti (quasi a livelli di gemellaggio) con i Maximo Park e anche questo non è un male: ritornelli orecchiabili, piede che non può fare a meno di battere il ritmo a primo ascolto e 40 minuti di piacevole svago (The HeartBeat Song è la più immediata fra le immediate). Il problema di questo tipo di album è che i primi tempi li ascolti così tanto che poi, inevitabilmente, li porti alla nausea e finisci per non sentirli mai più. A meno che non ti chiami Vampire Weekend e fai, sì, musica-cazzeggio ma la fai Divinamente. Voto 6,5

Jon Spencer Blues Explosion - Dirty Shirt Rock'n'Roll: per chi non avesse mai avvicinato questa esplosione di punk'n'blues grezza, cafona e salutare, questa sorta di antologia è un ottimo viatico per approfondire. 22 pezzi tra hit, radio edit e rarità da prendere al volo se non si è mai avuta esperienza diretta con il vecchio Jon. Voto 7,5

giovedì 25 novembre 2010

The Walking Dead 1x04: "Vatos"


Premessa: dopo 4 puntate, mi sono accorto di amare l'opening di Bear McCrary, tesa e angosciosa al punto giusto.
Chiusa la parentesi musicale, per chi non lo sapesse, i vatos sono quei tamarri gangster latino-americani dal grilletto facile, ipertatuati, e con collane, i cui pendenti sfidano la legge di gravità.
Rick e compagni, ancora alla ricerca di Merle, si imbattono nella combriccola guidata da Guillermo, che ha messo gli occhi sulla borsa di armi che il protagonista aveva lasciato per le strade di Atlanta nel pilot. Tra scambi d'ostaggi, stalli alla messicana e fucili spianati, in una scena da WTF, irrompe una vecchietta portatrice di un colpo di scena che, in quanto a buonismo (davvero spaventoso, in questo caso), lascia esterrefatti. I vatos, infatti, non fanno i ganzi perchè è cool esserlo ma proteggono una comunità di anziani, abbandonati dal personale medico della casa di riposo in cui si sono rifugiati. Sancita la pace e risolta la disputa, la spedizione di salvataggio viene appiedata, verosimilmente da Merle, il quale (sempre verosimilmente, e con una mano sola) è diretto al campo degli altri superstiti a cercare vendetta. Nel frattempo, proprio al campo, Andrea e sua sorella Amy, in uno scenario quasi paradisiaco (che apre splendidamente l'episodio), si dilettano a pescare, salvo poi commuoversi ricordando come fosse stato il padre a insegnare loro l'arte della pesca.
E di solito, scene del genere sanno di elogio funebre per uno dei personaggi coinvolti... (chi ha detto Shannon in Lost?)
Intanto, un nuovo superstite (di cui mi è sfuggito il nome) dà di matto e comincia a scavare fosse, senza apparente motivo. Tentata la soluzione diplomatica, si cerca di farlo rinsavire legandolo ad un albero e raffreddandone i bollenti spiriti. Quando tutto sembra risolto, nel mezzo di un picnic serale, con tanto di citazioni di Faulkner, irrompono gli zombies che fanno piazza pulita di quasi tutti i personaggi secondari, compresa la povera Amy, in una scena tanto concitata quanto tesa e drammatica. Solo l'intervento di Rick e Daryl, arrivati di corsa al campo, riesce ad evitare lo sterminio di tutto il gruppo, lasciando Andrea disperata sul corpo della sorella. Si ritorna ai ritmi concitati del secondo episodio, ma qualche incongruenza qua e là si avverte: i vatos versione badanti effettivamente spiazzano, ma da questa serie mi aspettavo/aspetto più cattiveria che umanità; mi chiedo come Glenn, Rick, Daryl e T-Dog arrivino prima di Merle al campo, considerato che lui ha un furgone e loro sono a piedi: magari guidare con una mano sola è più difficile, o forse l'attacco degli zombi è stato orchestrato proprio dal Dixon incazzato, vedremo. Ho poi seri dubbi che un campeggio all'aperto sia il posto più sicuro per difendersi dai Walkers, e io avrei levato le tende molto prima di essere attaccato, ma tant'è.. In questi due episodi, comunque, emerge bene (anzi, mi sta quasi simpatico, và) l'altro fratello Dixon, Daryl, in grado di alternare opportunamente una cinica violenza ad un conveniente spirito collaborativo di gruppo. Mancano 2 episodi alla fine, e, al momento, la sensazione è di avere per le mani un prodotto che fa il suo compitino in maniera tecnicamente ineccepibile, ma con poco cuore.


Voto 7-

mercoledì 24 novembre 2010

Mitakuye Oyasin!


Ieri ho comprato lo Speciale conclusivo di Magico Vento. Non l'ho ancora letto, e devo dire di provare una certa malinconia nel volerlo fare.
Facendo un paio di conti, nel 1998 avevo 12 anni, leggevo Dylan Dog da 4 ed ero rimasto incuriosito dalla quarta di copertina di un albo di Dylan con la frase "Sta arrivando" e l'immagine di un indiano scapigliato.
Quando uscirono maggiori dettagli, fu l'espressione western-horror a convincermi che valeva la pena risparmiare altre 3000 lire della paghetta mensile per leggere questo fumetto.
Dopo 12 anni e 130 numeri, rifarei questa scelta altre 3000 volte.
Magico Vento mi è entrato nel cuore, insieme a Poe, Henry Task e, sì, ci metto anche Howard Hogan, che come villain non era affatto male.
Ned era, è, e rimarrà un simbolo di libertà, un fratello maggiore che mi ha accompagnato nel tortuoso viaggio dell'adolescenza e dell'inizio dell'età adulta, insegnandomi l'autenticità di una vita vissuta senza padroni, indipendente, e la vacuità del concetto di "razza", senza per questo rinunciare al rispetto delle culture diverse dalla propria.
Ovviamente, mi sono anche (e soprattutto) divertito, e invidio quei potenziali lettori che, volendo, potrebbero approcciarsi per la prima volta a questo fumetto.
I primi 30-35 numeri, per me, restano il momento migliore della serie, vette elevatissime del fumetto italiano per profondità di narrazione e abilità nel gestire trame orizzontali e verticali.
I disegni di Eugenio Sicomoro ("Il collezionista" è probabilmente il mio numero preferito), Goran Parlov, Pasquale Frisenda, Andrea Venturi (primo, splendido, copertinista) Corrado Mastantuono (e c'è anche Roi, in un episodio) hanno fatto il resto.
In generale, lo standard qualitativo della serie è sempre rimasto altissimo, anche se, personalmente, ho avvertito un po' il colpo nel passaggio da mensile a bimestrale (cosa di cui comunque non potrebbe risentire un neofita "recuperatore").
E se, da un lato, è vero che il numero 130 termina in modo un po' frettoloso, dall'altro, ho altre 212 pagine da divorare, per l'ultima volta nella prateria.
Grazie Ned, grazie Gianfranco Manfredi.

giovedì 18 novembre 2010

The Walking Dead 1x03: "Tell It To The Frogs"



Se penso che per ricongiungere Jin e Sun, gli autori di Lost c'hanno messo 2 stagioni...
Arriva anche per The Walking Dead il momento della corsa l'uno verso l'altro con megabbraccione e lacrimuccia per le spettatrici tenerone. Mentre Rick arriva al campo con gli altri sopravvissuti e si spupazza il figlio, all'amico-carogna cascano le palle e alla moglie fedifraga salgono le ovaie fino in gola, convinta dal fustacchione poliziotto che il marito fosse morto.
Tra un revival della vita coniugale dei signori Grimes e lo sfogo del testosterone di Shane sul viso di un superstite abituato a picchiare la moglie, c'è chi si ricorda di recuperare Merle Dixon, ancora ammanettato sul tetto del market.
Anche perchè, il fratello del sociopatico interpretato da Michael Rooker, è anche lui poco incline al dialogo e più propenso a sparare.
Così, il tempo di una fisiologica rissa, decapitare uno zombie avventuratosi fino alle montagne (probabilmente il primo di una lunga serie nei prossimi episodi), si forma una spedizione di salvataggio alla volta di Atlanta.
Puntata interlocutoria, con maggior attenzione sulle dinamiche di gruppo che sull'azione.
Se è vero che buona parte dei personaggi è ancora poco tratteggiata, è anche abbastanza evidente il sapore di deja vu in quelli, invece, finora più approfonditi.
Il triangolo Shane-Lori-Rick, ovviamente, sembra promettere scintille ma se avessi un nichelino, lo punterei sulla dinamica Andrea interpretata da Laurie Holden, che ha guadagnato 2000 punti dopo la battuta sul vibratore.
In attesa di tempi migliori, di più sangue e più caos, una parentesi familiare, che un po' mi ha fatto pesare i 45 minuti.
Mobbasta eh, che già 6 episodi sono pochi.

Voto 6



martedì 16 novembre 2010

Equilibrismi E Salti Della Fede


Tutti abbiamo le nostre idiosincrasie, per carità, ma certa gente è veramente strana...anche più di me.
Ebbene sì, l'ho detto.
Io capisco la paura di rimanere soli, ma arrivare a livelli di irrazionalità tali da fare ripetutamente le stesse scemenze...beh, sfugge alla mia comprensione.
E io, di scemenze, ne ho fatte a tonnellate.
Si preannuncia un inverno interessante, we'll see.

giovedì 11 novembre 2010

The Walking Dead 1x02: "Guts"


E dopo il lento e stratificato incedere del bellissimo pilot, The Walking Dead accelera, dando agli affamati di zombie il pasto che desiderano: sangue e budella.
Non prima di mostrarci un pizzico di figa (che male non fa), con apertura sulla moglie del protagonista intenta ad imboscarsi tra le fresche frasche col migliore amico di lui.
Triangolo con morto in vista, insomma.
Il nucleo dell'episodio, però, è l'incontro ad Atlanta tra Rick e altri sopravvissuti (in contatto radio col gruppo della coppietta fedifraga, tra l'altro).
Tra un asiatico nipote di Data dei Goonies, un nero versione 50 Cent, una bionda lacrimosa, un messicano senza infamia e senza lode, spunta Merle Dixon, ex soldato, razzista e figlio di puttana, interpretato dal mitico Michael Rooker (l'amico di Stallone in Cliffhanger ma soprattutto Henry Pioggiadisangue).
Merito dell'attore, obiettivo dello script, non lo so, sta di fatto che il suo personaggio è quello meglio sviluppato tra le new entries (per le altre, magari ci sarà tempo).
Ma non importa.
Perchè i 45 minuti di Guts non danno molto tempo di pensare; la situazione richiede azione e velocità, visto che gli zombie stanno per fare breccia nel market dove il gruppo si è rifugiato (altro clichè, ma sempre efficace). Così, lo sbudellamento di un walker consente a Rick e al giovane Glenn di mimetizzarsi tra i morti, recuperare un furgone e scappare con gli altri.
Il solo Dixon rimane ammanettato a un tubo sul tetto, incazzato e abbandonato (anche se penso lo rivedremo).
Per quanto fosse stato centrato lo stile apocalittico e desertico del pilot, era evidente che un'intera serie non poteva reggere questo ritmo, vista anche la tendenza a una coralità del racconto.
Ragion per cui, trovo calzante la virata action di quest'episodio, anche perchè comunque bilanciata da chicche che mostrano di non trascurare l'aspetto psicologico della vicenda (l'elogio funebre del walker smembrato, lo stesso amplesso iniziale nella foresta con il ciondolo per terra).
E' vero, Kirkman e Darabont più volte hanno affermato la centralità dell'uomo, sia in ottica positiva che negativa (e Merle Dixon sembra essere un ottimo antipasto, a riguardo); non dimentichiamo, però, che ci troviamo sempre in un mondo pieno di zombie, e ogni tanto, spaccare qualche testa è necessario.
Se lo standard qualitativo del primo episodio, innegabilmente, si è abbassato, è anche vero che "Guts" offre un ottimo mix di divertimento e tensione, in attesa di puntate dove si raggiunga il giusto equilibrio tra "survival" e "horror".
Come detto nel post precedente, il potenziale c'è e sono più che fiducioso.


Voto 7,5

martedì 9 novembre 2010

Repetita Iuvant



Un grande. Punto.

sabato 6 novembre 2010

The Walking Dead 1x01: "Days Gone By"


Difficile quantificare l'hype che avvolgeva questo pilot. Frank Darabont alla regia, le musiche del battlestargalactico Bear McReary, uno script che poteva poggiare su uno dei fumetti più interessanti degli ultimi anni, e un cast ben variegato tra novità assolute (il bravo Andrew Lincoln come protagonista), esuli da altre serie (Sarah Wayne Callies direttamente da Prison Break) e aficionados del regista del Miglio Verde (Jeffrey DeMunn e la splendida Laurie Holden-Marita Covarrubias di X-Files).
E' andata bene.
I numeri parlano di 5,3 milioni di telespettatori negli USA, record per la AMC che, ricordiamo, è una tv via cavo.
Al di là di cifre e curricula, The Walking Dead sembra avere tutti i presupposti per diventare la serie evento degli anni '10, un po' come il LOST degli anni zero.
Darabont, essendo anche il produttore, si diverte e confeziona un episodio dal taglio fortemente cinematografico, prendendosi tutto il tempo necessario per introdurre il protagonista, renderci partecipi del suo straniamento, approfondire i primi due superstiti incontrati (splendido Lennie James nel ruolo di un marito che non ha il coraggio di uccidere la moglie-zombie, mentre il figlio si tappa le orecchie), senza rinunciare a ciò per cui molti di noi hanno deciso di prestare fiducia a questo pilot: sangue e morti.
E Greg Nicotero ci accontenta alla grande.
Intendiamoci, sono i classici morti viventi rincoglioniti e ossessionati dal mangiare carne umana.
Ma sono realizzati divinamente.
Dubito che la scena con la donna senza gambe avrebbe avuto lo stesso impatto emotivo senza il lavoro del make-up artist preferito di Quentin Tarantino.
A fronte di una realizzazione ineccepibile, con punte di fascino notevoli come l'arrivo a cavallo ad Atlanta del protagonista e l'assedio al carro armato delle scene finali, è inevitabile che un divoratore di horror smaliziato ed esperto non abbia più di una sensazione di deja vu nei 66 minuti di quest'episodio: dal risveglio in ospedale (molto ben realizzato, ma debitore del 28 Giorni Dopo di Danny Boyle) alle atmosfere romeriane, inevitabili quando si parla di zombie.
Eppure non lo prenderei come difetto, anzi.
Una trasposizione televisiva di situazioni finora solo filmiche è esattamente quello che mi aspettavo, e in cui speravo, prima di vedere The Walking Dead.
Mi fa ben sperare l'attenzione che si presta all'aspetto psicologico dei personaggi e all'inevitabile vissuto di sofferenza che li accompagna: del resto, dopo un po' anche giocare a Resident Evil ci annoia.
Un bravo, infine, a Andrew Lincoln che mi ha sorpreso per la capacità di tenere sulle spalle l'intero episodio, senza diventare macchiettistico nelle scene di disperazione e risultando convincente nell'umana decisione di uccidere la zombie senza gambe di cui sopra.
Insomma, siamo alla prima puntata, la materia prima c'è e la curiosità per le successive non manca.
Speriamo bene.


Voto 8

mercoledì 3 novembre 2010

Nani, Puttane e Uomini Veri



Davvero serve aggiungere altro?

lunedì 25 ottobre 2010

Dischi Del Mese: Ottobre '10




Sufjan Stevens - The Age Of Adz: devo confessare di averlo scoperto da poco, ascoltando quello che, a detta di molti addetti ai lavori, è uno dei migliori dischi degli anni '00, cioè Illinoise. Ed effettivamente, capolavoro lo è, "Illinoise"; un meraviglioso collage di folk, pop, cantautorato e molto altro rielaborati in una chiave quasi orchestrale che, tuttavia, riesce a stupire per l'immediatezza e la (apparente) semplicità. Ho poi proseguito con The BQE, disco strumentale, ma non per questo più astruso e A Sun Came, meno potente ma sulla stessa falsariga di Illinoise (cui entrambi i dischi citati sono cronologicamente precedenti). Il nuovo The Age Of Adz mi ha spiazzato, sono sincero. I riverberi folkeggianti e pop (qui inteso come popolari) hanno lasciato spazio ad un'elettronica sui generis, molto stilizzata, mai lineare, e comunque in grado di fornire un senso di dilatazione psichedelica (emblematica la traccia finale di 25 minuti, Impossible Soul) affascinante anche per chi di elettronica non è un grande fan (tipo me). Paradossalmente, in questo disco più che in altri, risalta ancora di più la tendenza di Stevens a prediligere una creazione organica, una visione d'insieme, piuttosto che il lavoro sul singolo pezzo. Tant'è vero che se per i precedenti album, si può parlare di gusto per il musical, qui penso non sia azzardato parlare di un lungo flusso di pensieri in note. Motivo per cui non ha molto senso limitarsi all'ascolto di uno o due brani, perchè non se ne coglierebbe la ragion d'essere complessiva. Perchè Sufjan Stevens non scrive canzoni, scrive opere. Voto 7,5

Belle And Sebastian - Write About Love: al 1996 risale il debutto di questo gruppo scozzese, pionieri dell'indie pop e ormai mostri sacri del genere. E quando suoni da 14 anni, fottendotene di quanti dischi vendi, vuol dire che sono altre le motivazioni a spingerti, piuttosto che il tintinnìo dei dindini. Così Write About Love propone 11 raffinate canzonette (non memorabili, a dire il vero), ma di sicuro al di sopra del livello medio propinato dalle radio, utili per svagarsi e contrastare l'insorgenza di un eventuale mood depressivo autunnale. Per cui, al primo temporale, buttatevi sulla title track se volete un sottofondo allegro che vi tiri su di morale, o se siete di quelli che cercano un commento sonoro in linea con le foglie che cadono e la pioggia che picchetta sui vetri andate sulla soffusa Little You, Ugly Jack, Prophet John (collabora Norah Jones). Voto 6

Kings Of Leon - Come Around Sundown: molti li guarderanno con un po' di puzza sotto il naso dopo il successo di Only By The Night e, sinceramente, anch'io temevo un tracollo artistico sull'altare sacrificale di un maggiore consenso di pubblico. Per fortuna, non è andata così: da bravi strafottenti, i KOL continuano imperterriti sulla loro strada (anche se l'evoluzione verso lo stadium rock è ormai quasi completa), alternando sinuose chitarre "à la Edge" a pezzi che trasudano Tennessee e southern rock da tutti i pori, rispolverando selvagge cavalcate come No Money o Mary che starebbero benissimo nello splendido Because The Times (che per il sottoscritto rimane il loro miglior disco), e riproponendo la solida magniloquenza da arena di Use Somebody in The Immortals o nella conclusiva Pickup Truck. Nel mezzo, piacevoli esperimenti come Mi Amigo, la solare Beach Side e il gradevole (ma innocuo) singolo Radioactive. Manca forse la hit ma resta un album con gli attributi. Pericolo scampato. Voto 6,5

Soundgarden - Telephantasm: ok, di stronzate Chris Cornell ne ha fatte. Gli album solisti facevano pena ed è difficile dire il contrario. Ma a me il primo album degli Audioslave era piaciuto parecchio (e Show Me How To Live resta uno dei video più belli di sempre, per me). In odore di reunion, questa raccolta ripropone in tutto il loro splendore i Soundgarden, quando la voce del buon Chris era selvaggia e furente. Da Black Hole Sun a Rusty Cage, passando per la potenza di Jesus Christ Pose (7 minuti live di rock con le palle quadrate) o di Superunknown. Chi li conosce solo per il video con la gente dagli occhi strani (e non sto parlando di Aerials dei System Of A Down), può cominciare ad approfondirli da qui. Voto 8

Fanfarlo - Reservoir: si può seguire la scia del successo di altri gruppi e riuscire a produrre un disco valido qualitativamente e comunque dotato di una forte identità? Nel caso dei Fanfarlo, la risposta è sì. Un sì bello grosso, anche.
E' vero, gli Arcade Fire spuntano da tutte le parti (e qualche volta anche i Sigur Ròs), la voce di Simon Balthazar vi darà 2000 deja vu diversi (io ci ho trovato analogie anche col cantante degli Editors, figuratevi..), ma l'album si lascia ascoltare con grande piacere. Eleganti, piacevoli e contaminati da una vena malinconica autunnale (paradigma ne è la splendida Luna). Ah, e consigliati anche da David Bowie. Serve altro? Voto 7

giovedì 21 ottobre 2010

Tutti Volevamo Una DeLorean




Gli ultimi 2 minuti di questo video sono semplicemente il più duro test di resistenza per le vostre ghiandole lacrimali.
Viene voglia di incontrare Michael J. Fox, abbracciarlo e ringraziarlo per averci accompagnato quando giocavamo con l'Atari, i Lego e i pupazzetti Playmobil.


martedì 19 ottobre 2010

Occhiali Gialli E Blu



Ieri pare sia iniziato il Grande Fratello, dopo un'ideale passaggio di testimone con la versione dei minatori cileni. (l'ha detto il TG5, non io)
Massì, diamo in pasto al popolo italiota qualcos'altro su cui indirizzare la propria morbosità; la sola vicenda Scazzi copre tutto l'arco della giornata, tra tg e (presunte) trasmissioni di approfondimento, ma noi vogliamo di più.
Vogliamo tette, culi, sangue, cadaveri, la passera di Belen che quasi esce dallo schermo e quant'altro possa solleticare il nostro malizioso istinto voyeuristico.
Del programma di Fazio e Saviano bloccato per nonsisaquale motivo non ce ne frega un cazzo.
E poi, sappiamo che, per fortuna, in questo naufragar di immagini rubate, assedi di giornalisti ad abitazioni di indagati per omicidio, e fiorir di opinioni non richieste, c'è Massimo Giletti.
Lui sì che può indicarci la retta via. Verso una tv migliore, di qualità e di contenuti.
Ah e anche Klaus Davi, suo fedele compagno di viaggio. (per il quale vi invito a leggere e vedere qui)
Sapete, rispetto a Barbara D'Urso, L'Italia sul 2, La Vita In Diretta & co., trovo L'Arena ancora più disgustoso e irritante.
Sì, ok, la sigla con Vasco fa molto (già la pretesa di voler distinguere "buoni e cattivi" mi inquieta un po'), ma c'è anche dell'altro.
Con la spocchia di chi è superiore a un certo genere di televisione, Giletti sguazza nel torbido, nel trash e in tutto ciò che all'apparenza critica ma di cui sa di non poter fare a meno di parlare per racimolare ascolti.
In un trionfo di populismo, buonismo, superficialità e di spudorata ipocrisia, lo spettatore viene sbeffeggiato e imboccato.
Del resto, il cittadino medio è rappresentato anche in studio; da soggetti come questo, investiti da non so quale autorità, del ruolo di portavoce dell'opinione comune.
In nome del diritto di cronaca, si scava nel vissuto dei personaggi attualmente in auge (oggi tocca alla pazzesca famiglia Misseri), nella speranza di trovare elementi sempre più morbosi e di indubbio fascino sul pubblico catodico.
Si chiede agli ospiti in studio cosa ne pensano e se vogliono lanciarsi in interpretazioni. Così Eleonora Giorgi dice la sua (la preferivo nei film erotici anni '80, muta e nuda), Vittorio Sgarbi, tra una dormita e un sms al cellulare, lancia la solita sterile provocazione e la Senette tenta di dimostrare che fa la giornalista in tv solo perchè è brava e dice cose intelligenti e non perchè figa.
Intanto, il conduttore gongola nella speranza che al peggio non ci sia mai fine e che non sia stato detto ancora tutto sul fatto del momento; chissenefotte dello sciacallaggio mediatico su una persona che già è morta in modo terribile.
Perchè, credetemi, i recenti sviluppi delle indagini non possono far altro che far godere il circo ambulante di giornalisti, inviati e opinionisti dell'ultima ora, ansiosi di condividere con lo spettatore le notizie, i pettegolezzi, i particolari che tanto faticosamente hanno raccolto.
Come avvoltoi che volano intorno alla carogna abbandonata.
Pornografia della peggior specie.
Datemi Youporn in prima serata, allora.


venerdì 15 ottobre 2010

Popcorn: Kick-Ass


Cosa dire di uno dei più interessanti cinecomics degli ultimi anni? In grado di coniugare il divertimento cazzone e scanzonato dei film sui supereroi a momenti di matura riflessione su una società che quando vede due che si picchiano, anzichè separarli, li riprende col telefonino? (non succede mica solo nei film, eh..)
Kick-Ass è ironico, violentissimo, citazionista, divertente, cupo e sagacemente arguto mantenendo su pellicola (pur con qualche libertà rispetto alla trama originale) la stessa vena caustica che Mark Millar, attualmente uno dei più grandi fumettisti in circolazione, riversa sulle pagine dei suoi comics.
Merito anche di un regista come Matthew Vaughan, in procinto di occuparsi dei giovani X-Men, che, con un budget relativamente basso, confeziona un prodotto artisticamente ineccepibile, con punte di eleganza come il flashback a fumetti made by John Romita Jr., e di un cast formidabile, nonostante l'unico nome di grido sia Nicholas Cage.
Aaron Johnson (per me assolutamente scognito prima di questo film) se la cava alla grande nei panni del protagonista, Mark Strong è il solito gran bastardo, Lindsy Fonseca è una figa da paura, ma è difficile non rimanere ammaliati dalla minuscola ma letale Hit Girl di Chloe Grace Moretz.
In Italia, alle solite, difficilmente Kick-Ass arriverà al cinema: in America è uscito ad Aprile con un bel VM 14; ergo, i tutori dell'integrità morale dei pupi italici lo vieterebbero ai minori di 50 anni, come minimo, per le scene di violenza su e da parte di minorenni.
Non essendo sicuro neanche di una distribuzione in home-video, il consiglio è: procuratevelo in rete con i sottotitoli e non fatevelo scappare.

Voto 8

mercoledì 13 ottobre 2010

Revisioni: David Cronenberg





Body horror. Per molti anni, questa è stata l'espressione che ha affiancato David Cronenberg; a indicare, la passione del regista canadese per le tematiche inerenti il corpo e le sue mutazioni, quasi un'ossessione sublimata nel tentativo di rendere il più possibile tangibile il processo di trasformazione dell'organismo. Ciò che però ha fatto del mancato ginecologo di Toronto un Maestro del cinema contemporaneo è il merito di aver visto nella modificazione del corpo una base psichica, ricostituendo quel connubio soma-psiche che di fatto mai realmente è stato scisso. In ogni sua opera, ciò che la carne subisce (o di cui fa esperienza) parte da una volontà della mente.
In barba ai critici che fino a qualche tempo fa si soffermavano soprattutto sull'aspetto meramente fisico e corporeo delle sue pellicole, Cronenberg rende questo rapporto (in verità, mai conflittuale ma anzi quasi sempre visto come cooperazione, se non subordinazione) simbiotico e fusionale con gli ultimi 2 film: La Promessa Dell'Assassino e History Of Violence (ma già con M. Butterfly l'elemento era stato abbondantemente affrontato), dove il tema della trasformazione non risulta visibile in maniera lampante, ma anzi viene celato, obbedendo al vero esecutore del processo mutazionale, cioè la mente. Questa può quindi essere una chiave di lettura utile per la comprensione della filmografia cronenberghiana: il corpo cambia forma, muta aspetto, perchè è la mente a volerlo. Il soma esegue, la psiche ordina.
Con un'anticipazione sui progetti futuri che prevedono A Dangerous Method, incentrato sul triangolo Jung-Freud-Sabine (le cui riprese credo siano terminate) e la trasposizione del romanzo di Don DeLillo, Cosmopolis, per il quale pare siano stati contattati Colin Farrell e
Marion Cotillard (AMO questa donna), mi fiondo in una mini-analisi della filmografia cronenberghiana (potete addormentarvi durante la lettura, non mi offendo).

Il Demone Sotto La Pelle: ambientato in un residence super lusso (celebre l'omicidio iniziale), veicolo della trasformazione è un parassita capace di risvegliare negli infetti gli impulsi più primordiali e archetipici: il sesso e la violenza. Freud avrebbe gradito. Se lo guardiamo come semplice horror, sente il peso del tempo, e gli arrapati assassini strappano qualche risata. Voto 6,5

Rabid - Sete Di Sangue:
qui la mutazione viene dall'esterno. La protagonista, dopo un incidente stradale, diviene oggetto di un esperimento medico a causa del quale si ritrova un pungiglione sotto l'ascella, trasformando la donna in una specie di vampiro. Interessante è osservare come da qui (anche se molto superficialmente) inizia un processo di analisi interiore del soggetto "mutato". Il personaggio interpretato da Marylin Chambers in alcune scene soffre per la propria trasformazione lasciando intendere una nascosta speranza di essere fermata. Il film scorre ma vale lo stesso discorso fatto per il precedente.
Voto 6,5

Brood - La Covata Malefica
: con la psicoplasmia, Cronenberg stressa la connessione corpo-mente rappresentando la somatizzazione dell'ira sottoforma di bambini deformi e assetati di sangue. Di certo non è casuale che nascano dal ventre, a indicare la profonda interiorità da cui originano i nostri pensieri più torbidi e oscuri. Splendide le sedute di terapia con il dr. Raglan (merito di un grande Oliver Reed), veri momenti di tensione a scapito delle aggressioni dei bambini, in parte rovinate dal trucco non efficacissimo. Resta comunque un gioiello e un classico del cinema horror moderno. Voto 7

Scanners:
sono di parte: è forse il film di Cronenberg che più mi piace. C'è un perfetto mix di sano, divertente horror (sì, mi riferisco alla testa che scoppia) senza tralasciare l'aspetto psicologico della vicenda. In più il cast è strabiliante: da McGoohan, al timido Stephen Lack fino al grandioso Michael Ironside, capace di esprimere cattiveria pura per 101 minuti e in grado di rendere lo sguardo tenero di Cameron Vale nel minuto conclusivo, dopo lo scontro tra i due protagonisti. Da vedere. Voto 8,5

Videodrome: a ragione, ritenuto da tutti il miglior film del regista canadese. Visionario, inquietante, morboso e profetico per come affronta in anticipo il problematico rapporto uomo-tecnologia (in questo caso soffermandosi sulla tv, ma le stesse considerazioni varrebbero anche per Internet, in fondo). Con un grande James Woods, nel ruolo di un produttore televisivo che pensa di poter scrutare nell'abisso, guadagnandoci, salvo poi finirne inghiottito. Capolavoro assoluto. Voto 9

La Zona Morta: tratto dal romanzo di Stephen King (e fonte ispiratrice del Dylan Dog intitolato Ti Ho Visto Morire), è la pellicola dove personalmente ho sentito più potente
il contributo della colonna sonora (di Michael Kamen, che sostituisce, qui, il fedele Howard Shore), abile nel disegnare in musica la sofferenza del protagonista (un fragile ma risoluto Christopher Walken). Forse un po' lento, rimane un bel film, triste e pessimista. Voto 7


La Mosca: recentemente ho letto della possibilità di un remake (forse ad opera dello stesso Cronenberg); a me pare una panzana, anche perchè non vedo come si possa "aggiornare" un film che di per sè non ne sente assoluto bisogno. Altra vetta espressiva del regista di Toronto, coadiuvato da un cast egregio ma soprattutto da un make-up artist come Chris Walaas, non a caso vincitore dell'Oscar per questo lavoro. Nel riproporre il tema del corpo che cambia (mi sembra di citare i Litfiba, ma vabbè...), viene allo stesso tempo rielaborato il concetto "frankensteiniano" di Prometeo moderno: l'uomo che si spinge oltre i confini della scienza paga un dazio terribile, al punto da arrivare a desiderare la morte. Voto 8,5

Inseparabili:
prima collaborazione con Jeremy Irons, per l'occasione costretto a sdoppiarsi nell'interpretazione di due gemelli. Da grande attore quale è, riesce comunque a tratteggiare due personalità molto forti nella loro diversità per poi farli convergere in una fusione simbiotica che trova il suo complemento nella donna con due uteri, di cui entrambi sono innamorati. Entra in scena anche qui, l'elemento tragico che per certi versi richiama ai classici greci per liricità e spessore. Voto 7


Il Pasto Nudo:
dal romanzo di William Burroughs, un'opera cui è difficile dare un senso razionale ma non per questo priva di fascino e incapace di intrigare lo spettatore. Pellicola atipica, se rapportata alla filmografia cronenberghiana, che presenta comunque alcuni topoi cardine del regista, prima fra tutte la fragilità del protagonista, drugs-addicted e tormentato per la morte della moglie. Splendida colonna sonora di Howard Shore con le incursioni jazz di Ornette Coleman, utili a sottolineare l'impronta noir in alcune parti del film. Voto 7

M. Butterfly:
torna Jeremy Irons e si riprende nuovamente la scena con un'interpretazione mostruosa, mettendo in scena un amore cieco, quasi extracorporeo (perchè è difficile non accorgersi che la Song Liling, di cui si innamora, sia in realtà un uomo), tragico e straziante. Memorabile l'epilogo in carcere con la recita finale di Gallimard. Film elegantissimo. Voto 8

Crash:
crudo e potente come un pugno allo stomaco, contraltare alla sofisticata estetica dell'opera precedente, è il film che più ha diviso la critica. Personalmente, trovo funzionale la rappresentazione del sesso come atto meccanico, sottoforma di amplessi ora animaleschi e primordiali ora freddi e quasi chirurgici, a sottolineare il senso di vuoto avvertito dai protagonisti e che permea un po' tutta la letteratura di James G. Ballard (autore del romanzo ispiratore). Di fatto non c'è un intreccio ben definito; l'intento è ritrarre la ricerca dell'uomo post-moderno di un qualcosa che lo faccia sentire vivo, ora che il sesso non basta più, e non è più in grado di arrecare piacere. Voto 7,5


Existenz:
ben prima di Matrix, un'interrogazione sul senso di realtà. Ripropone alcune tematiche di Videodrome (anche qui, il corpo ha un'appendice per la connessione ad un'altra dimensione) ma con minore potenza visiva. Certo, la mano di Cronenberg è evidente e Jennifer Jason Leigh ha il suo perchè. Voto 6,5

Spider: ok, qui il mio giudizio è condizionato da una visione non attentissima. Devo però ammettere di essermi un po' annoiato a vederlo, forse per aver colto in anticipo il plot twist alla base. Notevole, comunque, Ralph Fiennes nel ruolo dello schizofrenico protagonista e Gabriel Byrne in quello dell'odioso padre. E' un viaggio nell'intricata mente di un uomo malato, dove spesso i fili si intrecciano e si confondono tra loro. Un po' troppo lento per i miei gusti. Voto 6-

A History Of Violence:
Viggo Mortensen dà il cambio a Jeremy Irons come attore feticcio e confeziona una prestazione da urlo. Il suo Tom Stall è perfetto, tanto da gabbare anche lo spettatore, nel celare la sua vera natura finquando diventa impossibile contenerla ed inevitabile liberarla. Emblematico il violento rapporto sessuale con la moglie sulle scale e lo splendido finale a tavola in famiglia. Cronenberg mostra come l'orrore non sempre ha bisogno di essere rappresentato in ogni suo dettaglio per fare paura. Perchè nasce dalla mente e non dal corpo. Voto 9

La Promessa Dell'Assassino: altra prestazione maiuscola di Mortensen (candidato all'Oscar), circondato da una tenace Naomi Watts, da un istrionico Vincent Cassel e da un grandioso Armin Mueller Stahl.
Sulla scia dell'opera precedente, la mutazione nasce prima nella mente che nel corpo. I tatuaggi di Nikolai sono la vivida testimonianza della trasformazione, imposta dalle circostanze e dalla necessità di sopravvivere: il soma martoriato nella scena del combattimento nella sauna, in nome della salvezza della psiche, che, più di ogni altra componente del nostro Io, viene messa alla prova dalle esperienze che viviamo. Vera costante del cinema di Cronenberg.
Voto 8,5