lunedì 30 maggio 2011

Dischi Del Mese: Maggio '11




Nonostante, inizialmente, il mio gusto per l'orrido avesse avuto la meglio, dopo un provvidenziale ravvedimento sulla via di Damasco, a spuntarla per la copertina del mese è il nuovo dei Fleet Foxes, con buona pace dei Tv On The Radio, la cui cover è probabilmente una delle più brutte di sempre.


Tv On The Radio - Nine Types Of Light: ebbene ce l'hanno fatta. Prima o poi doveva capitare; voglio dire, quando in un gruppo ci sono almeno tre signore teste pensanti (David Sitek, Kyp Malone e Tunde Adepimbe o Adembimpe o Ambimblè, fate voi) è già un miracolo che non sia successo negli album precedenti. Anzi, è già un miracolo che i dischi finora partoriti siano riusciti più che bene, specie il sopracitato Dear Science. Ma stavolta non si scappa: hanno sbrodolato di brutto. La materia prima su cui lavorano è ottima, come sempre, ma la condiscono troppo, specie Sitek, arricchendola in fase di produzione quasi fino alla pacchianeria. E se è vero che alcuni momenti conservano il fulgore del passato (a me Repetition e Caffeinated Consciousness piacciono assaje, e la stessa Second Song iniziale non è affatto male), in altri si perde un po' di quella vis che caratterizzava il passato (Will Do è carina ma non è Wolf Like Me, per dire). In definitiva, il disco è discreto, ma per i loro standard è il più scarso. Voto 6


Glasvegas - Euphoric///Heartbreak: uno dei dischi peggiori di quest'anno. Senza tanti giri di parole, ridondante, fastidiosamente pomposo, privo di spunti melodici degni di nota e senza un briciolo di personalità. Non perdete tempo neanche a scaricarlo che non ne vale la pena. Magari provate il primo album che un paio di canzoni salvabili ci sono. Qua no. Voto 2

Fleet Foxes - Helplessness Blues: dopo aver sottolineato il gran gusto estetico di Pecknold e compagni in fatto di copertine, passiamo al disco. Helplessness Blues prosegue sulla falsariga del fortunato esordio con aggiunte psichedeliche che vanno a dilatare quel sound sognante ed elegiaco fatto di cori armoniosi e melodie calde. Sono il classico gruppo da tramonti estivi e falò sulla spiaggia e sono il miglior sottofondo possibile in tali occasioni; manca solo la canzone che ti entra subito in testa, com'era stata White Winter Hymnal del disco d'esordio, ma va bene uguale. Voto 7

Elbow - Build A Rocket Boys!: il gruppo di Guy Garvey si conferma su uno standard consolidato di gradevolezza e qualità, a distanza di 3 anni dall'ottimo The Seldom Seen Kid. L'inconfondibile voce del leader è sinuosa ed elegante fin dalle prime battute (dalla lunghissima The Birds al ritmo a battimano di With Love). Teneri gli episodi di Jesus Is A Richdale Girl e The Night Will Always Win cui fanno seguito alcune tracce un po' insipide, a dire il vero, per arrivare alla splendida conclusiva Dear Friends. Più che promossi, comunque. Voto 7-

Okkervil River - I Am Very Far: il problema del rock-folk di Decemberists, Okkervil River e compagnia bella è solo uno: cercare di non enfatizzare troppo la pomposità insita nel genere e, contestualmente, personalizzare lo stile, rendendolo unicamente riconoscibile. Detto questo, I Am Very Far è un disco molto di maniera e che tanto sa di compitino fatto col pilota automatico; loro possono permetterselo e tra qualche incursione pseudoelectro (non particolarmente riuscita) e un paio di insipidi tentativi anthemici, un paio di pezzi da conservare nell'I-pod si possono trovare in We Need A Myth e White Shadow Waltz. Voto 6-

Foo Fighters - Wasting Light:
da amare solo per il video che vedete qui sotto, Dave Grohl e compagni decidono di ritornare alle origini recuperando quell'atmosfera nirvaniana da cui sempre hanno cercato di sfuggire. Così, ritorna Butch Vig alla produzione (ha curato le registrazioni di Nevermind, mica cazzi), viene aggregato in pianta stabile Pat Smear (che era la seconda chitarra nei tour di Cobain e soci) e in un paio di pezzi spunta pure Kris Novoselic. Viene fuori il disco più tirato dei Foo Fighters, tra momenti riuscitissimi (la White Limo di cui sotto o l'apripista Bridge Burning) e altri un po' più fiacchi come Arlandria o il singolo Rope, che non mi entusiasma granchè al primo ascolto. La cosa buona di Wasting Light è la sua natura unitaria: per una volta, Grohl se ne frega di accontentare l'orecchio mainstream e non regala i soliti brani easy che una major può importi; tiene premuto l'acceleratore dalla prima all'ultima traccia per il disco più muscoloso e compatto dai tempi di The Colour And The Shape. Voto 7,5











giovedì 26 maggio 2011

House - Stagione 7



Da un po' di tempo a questa parte (diciamo da un certo punto della sesta stagione in poi), ho via via la sensazione che il confine tra il vero House e quello imitato da Marcello Cesena qui



vada sempre più assottigliandosi.
Del resto, arrivare a 7 stagioni non è da tutti e un medical drama non ti fornisce chissà quali spunti innovativi in un arco di tempo così vasto (ed House è già stato abbastanza rivoluzionario per il genere) e forse è finalmente giunto il momento di chiuderla in maniera quantomeno dignitosa.
Questa season 7 era iniziata con la tanto attesa (dagli altri, io non sono mai stato grande tifoso della coppia) love story tra House e Cuddy, risolvendo quella tensione sessuale trascinata per anni e anni di episodi.
Poteva essere uno sviluppo interessante, ma la prima metà della stagione risulta fiacca, priva di spunti validi e senza una direzione precisa (e per giunta senza Olivia Wilde, impegnata nelle riprese di Cowboy And Aliens).
House rimane fan della sua abilità di manipolatore bastardo e persevera nei suoi giochi, introducendoli nel menage di coppia, la Cuddy fa finta di incazzarsi per poi perdonarlo sempre (in virtù di un non manifesto complesso di inferiorità), e Wilson (ormai ridotto a mera spalla del protagonista) fa la comare di turno.
Insomma, l'unica differenza rispetto alle sei stagioni precedenti è che adesso copulano.
Se a questo aggiungiamo che i casi clinici oscillano costantemente tra 'noia mortale' e 'ai confini della realtà' (si rispolvera persino il vaiolo, malattia eradicata...) e che il nuovo personaggio di Marsters è l'unico a movimentare un po' la situazione avrete un quadro chiaro dell'andazzo delle cose.
Per fortuna, la liason dura poco e la seconda parte della stagione prende la scossa, mostrandoci la reazione dell'House ferito e abbandonato: torna come prima e più di prima, solo un po' più stupido e lassista.
Così, riesuma il vecchio amore mai sopito per il Vicodyn, fa balconing, si imbuca alle feste alcoliche di giovani universitari, sposa una prostituta ordinata su internet, si concede occasionali risse in postriboli non televisivi, recupera Thirteen (e il suo ritorno è oro colato sia per la serie che per i miei occhi) e decide di curarsi la gamba assumendo farmaci sperimentali.
Da qui, l'escalation di idiozie di un uomo col Q.I. di un Nobel diviene sempre più forzata, perchè gli ultimi due episodi (per quanto ben fatti e belli da vedere) sono TROPPO.
Capisco il cuore infranto, la disperazione e tutto quanto, ma il punto di forza di questo personaggio è sempre stata la capacità di vedere le cose da una prospettiva fuori dal comune, di pensare in modo alternativo e creativo per risolvere le cose e manipolarle secondo il suo volere, mentre gli altri brancolavano nel buio e si affidavano a Madonne, San Gennari e Medjugorje.
Ora, partendo dal presupposto che ho sempre trovato abbastanza pretestuoso l'innamoramento improvviso che House nutre verso la Cuddy a partire da metà quinta stagione, vedere questo mezzo genio trasformato in una sorta di bambinone incazzato, dispettoso e folle fino all'autolesionismo mi sembra sinceramente troppo.
Nulla da ridire sulla costruzione degli episodi o sulla recitazione di Laurie e del resto del cast (eccezion fatta per un Foreman formato moquette), ma rimane l'aumentare della dose di sospensione di incredulità richiesta per andare avanti. E stiamo parlando di un medical drama, non di un Fringe qualsiasi.
E se il buongiorno si vede dal mattino, le premesse per l'ottava e (si spera/pare) ultima stagione non sono delle migliori, tra regular che non torneranno (e voglio vedere come verrà gestita la cosa) ed altri disponibili a mezzo servizio.
Già ora si comincia a zoppicare...


Voto 6,5

lunedì 23 maggio 2011

Vola, Colomba Franco, Vola!



E così, ieri è calato il sipario sul campionato 2010/2011 con una delle giornate più scialbe che la Serie A ricordi: tutto deciso, a parte il quarto posto (ma con la sicurezza che il Milan avrebbe regalato la partita all'Udinese), per un clima vacanziero a farla da padrone in almeno 8 stadi su 9.
In attesa della finale di Coppa Italia (Forza Palermo, una volta tanto lo posso dire, se non altro da cittadino), il mio Parma chiude con un anonimo pareggio a Cagliari un'annata che, col senno di poi
(e alla luce dei rischi corsi), può essere definita più che discreta , ma che, in base alle aspettative, non può che essere deludente.
Una squadra sulla carta più forte dell'anno precedente fa più o meno gli stessi punti, e quasi tutto frutto del rush finale impresso dall'arrivo di Colomba, consentendo ai gialloblù di tirarsi fuori in tempo dal pantano della lotta per non retrocedere.
La scelta di Leonardi di ricostruire a Parma il binomio udinese con Marino si è rivelata clamorosamente fallimentare; oltre a non aver costruito neanche un abbozzo di idea di gioco, sotto la guida del tecnico marsalese, la squadra è sembrata spesso svogliata, demotivata e fragile psicologicamente.
Finchè Winnie The Pooh-Ghirardi s'è incazzato (perchè
, a parte il Bologna ieri, fare vincere in trasferta un Bari retrocesso con 37 giornate di anticipo non è da tutti) e ha deciso saggiamente di mandare il buon Pasquale lì, a Los Angeles, per i casting della seconda stagione di The Walking Dead, chè serviva qualche comparsa zombie da maciullare selvaggiamente.
E infine giunse Colomba, si diceva; e, sulle prime, oltre a sentire una sempre più forte puzza di retrocessione, notai con disappunto che il mio sopracciglio destro rimase aggrottato per almeno 10 giorni: ma come, mandi a casa un non-morto (ma neanche vivo) e per rivitalizzare la squadra recluti uno che non ha propriamente la fama di motivatore?
Sul serio devo passarmi FIFA 12 a far risalire il Parma in Serie A? No dai..
Felicissimo di essermi sbagliato, quel gran signore di Colomba non fa altro che due cose semplici semplici: tranquillizzare una manata di ragazzi impauriti per l'andazzo della classifica e impostare un paio di regole base per il gioco (il ritorno al 4-4-2 e lo spostamento di Modesto a centrocampo, su tutte).
Complici un Giovinco così continuo da farmi arrivare dignitosamente 5° su 10 al fantacalcio, senza avere un attaccante che sia arrivato in doppia cifra (Hernandez devi morire pazzo), e un Amauri che sembra finalmente essere tornato da 'sta cazzo di Costa Crociera (evidentemente più distruttiva di una serata ad Arcore, visti i tempi di recupero), il Parma vola nelle ultime giornate, togliendosi il lusso di battere Inter, Udinese, Juve, Barcellona e Real Madrid, con buona pace di Pasquale Marino.
Riposi In Pace.



Qui sopra, un sorridente Pasquale Marino alla sua prima comunione (27/05/1923)

sabato 21 maggio 2011

Play: PS3 So Far...



E come promesso, o minacciato, fate voi, dopo un tuffo nel passato tra retrogaming e nuove pietre miliari che si affacciano prepotentemente all'orizzonte, è il turno del presente.
Con una doverosa premessa.
Non venendo meno al mio status di nerd sfigato, penso di essere uno dei pochi possessori di PS3 a non averla connessa ad Internet.
Potete sfottermi (o potrei ipoteticamente farlo io, visti i recenti sviluppi post-hackeraggio del PSN) e/o rinunciare a leggere il seguito (potreste benissimo imputarmi valutazioni monche su giochi che guadagnano o perdono punti con la parte online), fate pure.
Chiaramente, la non connessione non scaturisce da una mia scelta ma da ineluttabili fattori fisici, sociali e genetici: madri che non vogliono "macchinette" in salotto, router a 10 milioni di km di distanza dalla PS3, pigrizia mentale nell'escogitare soluzioni alternative, riluttanza a spendere più di 50 euro per un ripetitore del segnale wi-fi, etc. etc.
Eppure, ad essere sincero, e senza voler fare la volpe e l'uva, la cosa non mi pesa neanche tanto: per FIFA mi bastano le sfide con mio fratello, per molti giochi non ho l'opzione Internet di default (i 2 Fallout, Metal Gear Solid 4, Assassin's Creed e via dicendo); così conservo i rimpianti per Uncharted 2 e Red Dead Redemption.
Ma in un mondo che non fa che offrirmi distrazioni dalla meta della laurea, direi che rinunciare al multiplayer online è un sacrificio accettabile per il lancio del cappello, il giuramento di Ippocrate e ricchi premi e cotillons.
Detto questo, ed evitando la lunghissima piega alla prolissità del precedente post videoludico, passiamo direttamente in rassegna i giochi che finora ho provato su 'sta benedetta PS3.




Batman - Arkham Asylum: per il principio "la fine è un buon inizio", cominciamo dall'ultimo gioco portato a termine. Da patologico appassionato del personaggio (sono cresciuto con la serie animata degli anni '90, curata dallo stesso sceneggiatore dietro questo progetto, cioè Paul Dini), questo è IL gioco di Batman. E lo dice uno che non è mai stato un grande fan dei giochi action dove solitamente basta premere all'impazzata un tasto per picchiare i 5 ceffi di turno che ti circondano. Anche perchè fare combo non è esattamente il mio mestiere; il merito dei ragazzi di Rocksteady è far confluire una spaventosa immediatezza nei comandi (ebbene sì, anche io sono riuscito a realizzare combinazioni piuttosto variegate) ad un azzeccatissimo approccio stealth (più di una volta ho avuto un deja vu della prima apparizione del Cavaliere Oscuro in Batman Begins; e ovviamente la cosa mi è piaciuta), passando per le oniriche e originali sezioni platform degli scontri con lo Spaventapasseri. Il tutto orchestrato dal sopracitato Paul Dini, che crea ad arte una storia capace di coinvolgere molti villain storici del Pipistrello, senza forzature evidenti e con un Joker ovviamente mattatore. Il trailer del prossimo Arkham City è da bava alla bocca: questo resta un must have, a maggior ragione adesso che è entrato nella linea platinum (e si prende le sue buone 15-20 ore per finirlo). Accattativillo! Voto 9,5







Assassin's Creed I-II: il primo capitolo ha il merito di introdurre uno stile e una meccanica di gioco che verrà copiata da molti altri epigoni di questa generazione; sullo sfondo di una trama che miscela storia a sci-fi in salsa Lost, le avventure di Desmond Miles e del suo alter ego medievale Altair risentono di una certa ripetitività con missioni troppo uguali a sè stesse ed è troppo evidente la superiorità del protagonista rispetto ai nemici. Il secondo capitolo, forte di una base già consolidata, rende sfavillante l'impalcatura in ogni suo aspetto: il fiorentino mediceo Ezio Auditore ha un carisma molto maggiore del suo antenato medievale (e i comprimari, vedi Leonardo Da Vinci, non sono da meno), le missioni offrono una reale possibilità di scelta su quale tipo di approccio prediligere (se stealth o action), la storia è appassionante e l'ambientazione fa il resto: con l'Italia rinascimentale non c'è trippa per gatti. Voto 7 e 8,5






Heavy Rain: finito qualche settimana fa, entrerebbe nella mia top ten all'istante. Pur avendo giocato alla fatica precedente dei Quantic Dream, quel Fahrenheit su PS2 ingiustamente snobbato da pubblico e critici, Heavy Rain mi ha rapito come fossi l'ultimo dei novellini. David Cage e compagni creano una storia strepitosa per intreccio e livello di coinvolgimento (evitando lo svaccamento finale del Fahrenheit sopracitato), lasciando il giocatore in un orgasmico bilico tra interagire e stare a guardare. A molti la logica del Quick Time Event può non piacere ma è innegabile l'adrenalina e il senso di immedesimazione prodotti durante le fasi di gioco: che sia far partire la macchina o fare a pugni con un aggressore. Il resto lo fa una messinscena superlativa (la localizzazione italiana coinvolge fior di doppiatori tra Pino Insegno e Claudia Gerini, per citarne due), una meravigliosa colonna sonora e un taglio cinematografico che mischia Seven, Saw e i noir vecchio stampo. Voto 10




Dead Space: se non era per la demo contenuta nel Padrino II, probabilmente l'avrei bellamente ignorato. Mi sarei perso un riuscitissimo cocktail di Alien e La Cosa in salsa survival horror; EA confeziona un'atmosfera realmente angosciante facendo leva su tutte le componenti a sua disposizione: l'ambientazione spettrale dell'astronave Ishimura, la goffa pesantezza del protagonista e un sapientissimo utilizzo della musica ed in generale degli effetti sonori. Pare che il seguito rispetti le regole considerate per AC e Uncharted, ma, a me, già il primo capitolo ha divertito parecchio. Voto 8




Red Dead Redemption: favoloso. Un gioco che sognavo dai tempi della PSOne e che con John Marston diventa realtà. Un west duro, sporco e realmente selvaggio, fortemente debitore di Sergio Leone e Clint Eastwood, e per fortuna non di John Wayne: cavalcare dal Messico al Texas passando per i boschi e le nevi del Colorado, fermarsi ad ammirare paesaggi che lasciano senza fiato, tra una caccia a una taglia e una partita a poker, un duello e un fortuito incontro con un grizzly, una rapina in banca e un agguato in un pueblo. Il tutto, accompagnati da uno dei personaggi più carismatici mai apparsi in un videogioco: un pistolero disilluso, cinico, ma in fondo dal cuore d'oro. Aggiungeteci un finale che definire epico è riduttivo e vedete che ne esce. Voto 10




Uncharted I-II: potrebbe benissimo valere lo stesso discorso fatto per Assassin's Creed: il secondo capitolo potenzia al massimo quanto di buono fatto vedere dal primo, correggendo piccoli difetti che comunque non intaccano la qualità generale del prodotto. A mio gusto, però, la saga di Uncharted ha qualcosa in più, forse perchè mi faccio abbindolare dal taglio cinematografico, spettacolare e riuscitissimo per come combina Indiana Jones a Tomb Raider, pur essendoci meno tette. Oltretutto, graficamente, penso che Uncharted 2 sia il meglio attualmente a disposizione su PS3. Voto 8,5 e 10




Grand Theft Auto IV: per un giocatore navigato di qualsiasi uscita Rockstar dai tempi di GTA3 in poi, mi aspettavo qualcosa in più. Per carità, il livello è altissimo, Liberty City è impressionante per come somigli sempre più ad una città vera, la vicenda è appassionante e non mancano le solite bordate caustiche e irriverenti della casa di Dan Houser, ma, dopo 6-7 GTA, ti accorgi che la storia è sempre la stessa, le innovazioni poche e, per quanto ti stia simpatico Niko Bellic e il suo accento slavo, e per quanto il gioco comunque ti diverta, Tommy Vercetti resta sempre il più figo. Voto 8-



The Saboteur: molto carino. L'ambientazione nella Parigi occupata dai nazisti ha un indubbio fascino connaturato; se aggiungete una caratterizzazione stilistica peculiare (le zone occupate sono in bianco e nero), una riproduzione fedelissima della capitale in ogni sua componente, missioni tutto sommato abbastanza variegate e una storia divertente, il gioco fa ampiamente il suo dovere, destreggiandosi tra free-roaming, action e puntando su un'impostazione arcade per le sessioni di guida. Personalmente, l'unico difetto riscontrabile è uno scarso bilanciamento della difficoltà, via via che si prosegue nella trama, ma EA porta a casa la pagnotta anche stavolta. Voto 7



Il Padrino II: un po' come per i libri, mi risulta veramente difficile dare un brutto voto a un gioco. Tuttavia, con questo ho toppato senza appello: se è vero che da un lato la pulizia grafica sia lodevole (ma niente di trascendentale, intendiamoci, e il minimo sindacale per una console come la PS3) e la gestione manageriale delle varie attività criminali sia più che discreta, la meccanica di gioco è ripetitiva quasi all'ossessività: stermina le famiglie rivali ed è fatta. Nel mezzo una realizzazione tecnica delle sessioni di guida francamente scadente e una IA dei nemici sostanzialmente ridicola. Finora il mio peggior acquisto. Voto 4




Fallout 3: come si può evincere dal post precedente, sono ovviamente di parte. Sì, è vero, la grafica non è granchè e in alcuni casi si può anche usare la parola "approssimativa" con palazzi che compaiono dal nulla e montagne che si appiattiscono di colpo. E, sì, è vero, ci sono insopportabili bug e il rischio di un freeze del gioco è dietro l'angolo. Ma vagare per la Zona Contaminata in maniera totalmente autonoma, fare quello che ti pare senza alcun freno, è un'esperienza unica e divertentissima. Voto 10



Fallout New Vegas: fanno i furbi quelli di Bethesda. Facendo leva sul botto del precedente capitolo, danno una riverniciatina qua e là e ti vendono la vecchia Punto come la nuova versione (ripensandoci, forse avrei dovuto scegliere un modello più figo, ma vabbè): la quest principale si fa più intricata (offrendo finali alternativi) e intrigante, si aggiungono un paio di novità stuzzicanti (il compagno e la modalità Duro) ma i bug e i freeze si moltiplicano e la grafica è la stessa del terzo capitolo. C'è poi un difetto sostanziale: il deserto del Mojave non ha 1/3 del fascino della zona contaminata di D.C. Un must solo per accaniti come me, per gli altri, un discreto antipasto in attesa di Fallout 4. Voto 7,5





FIFA 10-11: li metto insieme perchè sostanzialmente si parla dello stesso gioco; da un'edizione all'altra le migliorie sono poche e quasi impercettibili ma stiamo parlando del gioco di calcio più vicino alla realtà in circolazione: i ritocchi alla fisica dei contrasti e all'IA dei portieri tolgono qualsiasi appiglio ai detrattori regalando un'esperienza di gioco realistica e divertente. In barba all'online, è l'unico acquisto che mi dura un anno solare, tra campionati e sfide con mio fratello. E sticazzi. Voto 9




Metal Gear Solid 4: ultimo (?) capitolo della saga di Solid Snake, rappresenta la summa dei 3 precedenti episodi, regalando chicche sparse, autocitazioni, migliorie varie nella meccanica di gioco e rattoppando (almeno in parte) una storia che in Sons Of Liberty aveva preso una piega assurda (per non dire ridicola, in certi punti). Mettendo da parte il lato affettivo del giocatore fan della serie, è innegabile che la mole di filmati sia nettamente sproporzionata alle sessioni di gioco (che di fatto, sono dei piccoli intermezzi); fattore che condiziona, non poco, un'eventuale rigiocabilità: io ho paura a sorbirmi di nuovo altre 18 ore di spiegoni e video. D'altro canto, Snake è Snake: quelle rare, poche, ore di gioco sono favolose. Voto 8+






lunedì 16 maggio 2011

Popcorn: RED


Anche i super agenti segreti della CIA vanno in pensione.
Persino Bruce Willis, che, tra una passata di aspirapolvere e l'altra, si innamora telefonicamente della tipa dell' INPS e si cucina un piatto di proiettili.
Roba che neanche Chuck Norris.
Detto questo, Red è un film divertentissimo, girato con tanto tanto stile e che con un cast del genere proprio non poteva riuscire male.
L'età avanza per tutti ma quando si chiede a Bruce di sparare uscendo al volo da una macchina, o di scaraventare al muro il giovane agente FBI che gli dà la caccia, o di stendere in vestaglia i 3 SWAT che gli hanno raso al suolo la casa, non ce n'è per nessuno.
Dopo una simile incazzatura, il minimo che può fare è cercare di capire chi lo vuole morto, ma non prima di vedere che faccia abbia la tipa con cui passa ore e ore al telefono.
E alle fattezze di Mary Louise Parker è così difficile resistere che ringrazi Dio di aver inventato il telefono, le pensioni e persino l'INPS. Oltretutto, il suo personaggio è divertentissimo (almeno nella prima parte) e lei è troppo carina, ma questo credo di averlo già detto.
Intanto, tra una sparatoria e l'altra, il buon Bruce richiama i suoi vecchi compagni di giochi che comprendono un Morgan Freeman marpione (ma poco sfruttato), una regale Helen Mirren (che preferisce uccidere anzichè fare giardinaggio, ed è difficile darle torto), e, dulcis in fundo, un folle e geniale John Malkovich, che gigioneggia come non mai (si vede che s'è divertito un mondo a girare) e strappa risate continue quando è sullo schermo.
Se pensate che sia finita qui, il cast comprende anche gente come Richard Dreyfuss, Brian Cox (che risulta addirittura simpatico) e almeno 10 attori presi da 10 serie tv diverse (McMahon da Nip/Tuck e Remar da Dexter, per dirne due).
Giostrando abilmente tra spy story e comedy, Robert Schwentke tiene ben salde le redini della vicenda, potendo contare su attori che viaggiano col pilota automatico e su uno script (basato sull'omonimo fumetto del grande Warren Ellis) a prova di bomba.
Persino per Bruce Willis.

Voto 7



E se non mi credete, qua c'è il trailer.







lunedì 9 maggio 2011

Fringe - Stagione 3



Nel post dedicato alla seconda stagione, avevo abbondantemente incensato questa serie, nonostante alcuni filler un po' sottotono annacquassero l'interessante trama orizzontale.
Nella season 3, (prendendo spunto dalle critiche?) gli autori
, forti di una situazione (lo scambio di Olivie che ha chiuso la stagione precedente) che consente miliardi di possibilità narrative,
riescono nella mirabile impresa di fondere abilmente i casi della settimana con la vicenda principale.
Così, ti trovi con una serie che nei primi 10 episodi inanella una puntata migliore dell'altra (The Plateau, su tutte), alternando le 2 Fringe Division, così da tratteggiare meglio anche l'universo rosso, verso il quale, ovviamente, lo spettatore è portato ad avere più curiosità e, per certi versi, simpatia.
Insomma, date le premesse, c'erano gli ingredienti per gridare al miracolo.
Il problema è che, una volta risolta la questione Olivia-Bolivia, gli autori vengono rapiti dagli alieni.
E' l'unica spiegazione possibile ad un simile crollo verticale.
Se, infatti, prima tocca sorbirci una moscissima tripletta di episodi incentrati sulle ruggini amorose
(per quanto la loro connessione sia significativa ai fini della storia), con tanto di flashback anni '80 molto rattoppato, tra Olivia e Peter, è con la riesumazione di William Bell che si rende evidente il consumo di droghe pesanti da parte degli autori in fase di sceneggiatura.
I 4 episodi che portano l'anima del vecchio compagno di giochi di Walter nel corpo di Anna Torv (che si ritrova con una voce che farebbe arrapare persino Marrazzo) sono tra le cose più nonsense, ridicole e irritanti mai viste.
Aggiungeteci che dopo aver esorcizzato Olivia, la storia non subisce sostanziali modifiche e la sensazione di colossale presa per il culo è completa.
Ed è un peccato, perchè Fringe ce ne ha fatte vedere di tutti i colori (teste crioconservate che si collegano a corpi morti, fulmini che ti rendono invulnerabile, mostri nati dalla fusione di più animali etc..), dando però una "fantaspiegazione" tutto sommato credibile.
I magneti dell'anima, le pericolose derive LOSTiane tirando in ballo destino e designazioni varie, hanno seriamente rischiato di rovesciare il tavolo e mandare a puttane un'intera serie. (
sto ancora cercando di dimenticare l'episodio Lysergic Acid Diethylamide, il punto più basso dell'intero show, per come scimmiotta in malo modo Inception, l'interpolated rotoscoping di Richard Linklater e quant'altro sci-fi è possibile scimmiottare)
La fortuna è che i 3 episodi finali compensano il disastro della saga di Bellivia, riportando il treno sulle rotaie, rispolverando in modo intelligente l'ottimo personaggio di Sam Weiss e confezionando un ultimo episodio da mal di testa, per il numero di interrogativi lasciati in sospeso.
Di certo, gli autori nella quarta stagione dovranno darne di risposte.
Preferibilmente sensate, please.


Voto 7,5


venerdì 6 maggio 2011

Popcorn: Machete/Hobo With A Shotgun

Doppia recensione per 2 figli nati dalle costole di quel Grindhouse della coppia Tarantino-Rodriguez tanto snobbato da pubblico e critica quanto riuscito. La storia è nota ai tarantiniani sfegatati: sia Hobo che Machete, infatti, nascono originariamente come fake trailers che introducevano alla visione di Death Proof e Planet Terror. Sulla scia di questi ultimi 2 film, spuntano come funghi una serie di epigoni che cercano di richiamare quell'ottica da b-movie anni '70 pacchiana, esagerata e folle che era nelle intenzioni dell'operazione nostalgia di Rodriguez e Tarantino: alcuni con ottimi risultati (vedi Black Dynamite, di cui ho parlato in un precedente post), altri con pessimi (vedi Bitch Slap); fino ad arrivare a Machete e Hobo With A Shotgun, perlappunto.
Vediamo com'è andata.




Il mio giudizio per questo film è pesantemente condizionato dal mio amore quasi patologico verso Blade Runner: insomma, capirete che Rutger Hauer protagonista non aiuta/aiuta nella valutazione.
La storia è semplice: un clochard giunge in una cittadina in preda al caos, governata da un narcotrafficante, tale Drake, classico cattivone bidimensionale ma dalla sadica ironia, e coadiuvato da 2 figli altrettanto feroci e vestiti da John Travolta in Grease.
Il crimine regna sovrano, la polizia collude, la gente se ne frega e nel barbone si sviluppa una incontrollabile sete di giustizia che lo porta a imbracciare un fucile e a fare saltare teste, in giro per le strade.
Quello che sorprende nell'opera prima di Jason Eisener è la capacità di inserire tra un momento esagerato (donne che sguazzano nel sangue) ed un altro (teste umane usate come decorazioni per auto), immagini che avvicinano, seppur blandamente, il concetto di poesia.
Tutto merito di quel gigante di Rutger Hauer, ovviamente, capace di dosare con classe le espressioni da folle giustiziere, alternandole allo sconforto ed affanno di un vecchio e solitario orso.
Ovviamente, lungi da questo film una critica sociale (anche se i cittadini ci mettono due secondi a decidere, sotto ricatto, di sterminare tutti gli homeless), ma è lodevole, e senz'altro riuscita, l'intenzione di dare uno spessore al protagonista, rifuggendo il clichè dell'uomo tutto d'un pezzo e tratteggiando un sognatore speranzoso di redimere una prostituta e di immaginare un futuro migliore per i neonati cui parla nella nursery di un ospedale.
In compenso sono presenti tutti gli altri clichè del pianeta: la brava bad girl in pericolo, il cattivone di cui sopra, i figli (uno scemo e l'altro malefico) e tutto quello che vi aspettereste da questo tipo di film, sempre nel rispetto di un'estetica più anni '80 che '70 (a partire dalla grandiosa colonna sonora che annovera gente come Lisa Lougheed e la stupenda Run With Us dei titoli di coda, per passare ad un'autocitazione che fa Rutger Hauer riferendosi al mitico The Hitcher), con colori saturatissimi e una fotografia che spruzza sangue su ogni punto dello schermo.
In definitiva, Hobo With A Shotgun è il classico concentrato di violenza estrema, figa e divertimento che ogni amante di b-movie desidera; oltretutto, è un'altra occasione per ammirare ancora una volta quel granduomo di Rutger Hauer.
Che volete di più?

Voto 8






Che volete di più, dicevo? Machete.
Perchè dopo Machete non c'è altro.
Senza dilungarsi troppo, è l'Everest dei b-movies e possiede tutto quello che un cinefilo col testosterone alle stelle possa desiderare: Lindsay Lohan nuda o vestita da suora, Michelle Rodriguez in hot pants e canotte aderenti, Jessica Alba (che a me non è mai piaciuta granchè, però stavolta non è male) in tacchi a spillo e jeans attillati, preti con fucili a canne mozze sotto l'altare, Robert DeNiro versione Borghezio texano (forse il primo ruolo che imbrocca da almeno 5 anni a questa parte, ed è geniale), Tom Savini (mitologico make up artist anni '80, già visto in Dal Tramonto All'Alba e Planet Terror) in un cameo meraviglioso, Steven Seagal con l'accento ispanico, Jeff Fahey (Lapidus in Lost, per intenderci) e Don Johnson splendide macchiette, e poi le crazy twins di Planet Terror tornate per l'occasione, intestini usati come funi per calarsi da un piano all'altro di un ospedale, teste mozzate, battute EPICHE, sangue a volontà, nudi integrali (ma credo di averlo già detto), lame che si infilano ovunque e infine quell'idolo di Danny Trejo, un uomo nato per questo ruolo.
Rodriguez insozza il tutto come può, tra rock tamarro fatto in casa (favoloso il tema principale) e pellicola sgranata à la Grindhouse.
Il risultato è un film che vi farà abusare della parola "figata".
E nonostante questo, vorrete rivederlo.

Voto 9

lunedì 2 maggio 2011

Revisioni: Green Day



Quando avevo 12 anni, portavo i capelli corti, le orecchie a sventola e delle oscene camicie gialle di velluto (non chiedetemi perchè ricordo questo particolare). Ero il classico secchione sfigato che teneva il conto di quante volte aveva salutato col bacio la sua compagna più carina (che ovviamente nel frattempo pensava ai ragazzi più grandi).
Chiusa la parentesi nostalgica.
Il mio allora migliore amico, nonchè compagno di banco, nonchè ex compagno delle elementari, un giorno spuntò in classe con i jeans pieni di spille da balia, un paio di converse rosse e un bracciale borchiato. Cominciò a riempire i banchi di A contornate da un cerchio e di "PUNX NOT DEAD" e mi disse: "Ti devo fare una cassetta".
Già, i bei tempi delle musicassette. Di quando ne compravi una, tutto felice, da un marocchino, arrivavi a casa, la piazzavi speranzoso nello stereo, premevi PLAY e il nastro schizzava fino al tetto, con buona pace delle cinquemilalire tenacemente risparmiate durante la settimana.
A 12 anni (1998), grazie all'amico punk di cui sopra, ascolto per la prima volta Basket Case.
In realtà, scoprii molto dopo che il titolo era effettivamente quello: uno dei problemi delle musicassette fatte in casa era l'identificazione di autore e canzone. La mia fonte era quasi sempre inaffidabile (oltre ad essere una sega in inglese), quindi la storpiatura di un titolo o l'attribuzione di un brano a un gruppo piuttosto che ad un altro era la normalità
(per almeno 1 anno ho pensato che la band di Basket Case e di Smells Like Teen Spirits fosse la stessa).
A quel nastro, comunque, risale il mio amore per tutto ciò che è catalogabile come rock e in generale a qualsiasi nota io ascolti adesso.
Perchè, alle medie, quando raggiungi l'apice dell'influenzabilità, le cose sono 2: o finisci nel vortice della musica da discoteca o preghi affinchè appaia un santone che venga a dirti "ascolta questa canzone".
A quel punto sei salvo.
O sei talmente sfigato che l'amico santone ti passa un nastro con gli Articolo 31.
Io mi sono salvato, per fortuna.
Vi risparmio le modalità di rifornimento musicale ai tempi del liceo, anche perchè poi spuntò Internet a rendere tutto più facile, e quindi passo, stavolta sul serio, ai Green Day.
Cominciamo dalla fine, o quasi.
Cercando di essere più obiettivo possibile, cosa sono oggi Billie Joe Armstrong e compagni?
Tre macchiette.
American Idiot è stato un dono e una dannazione al tempo stesso. Voler applicare al punk l'idea di un concept-album fu lodevole, e quasi universalmente apprezzata (da critica e masse).
Il successo di vendite del 2004 non è neanche lontanamente paragonabile al boom di Dookie di 10 anni prima.
Nel '94 c'era solo MTV a decidere se un disco fosse un successo oppure un flop; oggi, chiaramente, questo discorso non vale. I media si sono potenziati, amplificati e capillarizzati, reificando la parola "worldwide" che fino a qualche tempo fa aveva lo stesso significato di "megagalattico".
Forti di quel successo, e reduci da 3 album meno fortunati in termini di vendite, i Green Day fiutano la preda e capiscono che l'unico modo per cavalcare l'onda è non deludere i/le fan 2.0 e proseguire su questa strada/china.
Imbottite i testi di un impegno politico all'acqua di rose, virate il look su uno stile più emo-friendly possibile, trasformate il punk in un rockettino da stadio, pulito e da radio, e avrete 21st Century Breakdown, punto più basso della loro discografia.
Non a caso, American Idiot è considerato una sorta di spartiacque per i fan: da una parte c'è chi ha amato le aggressive melodie degli anni '90 (e che concede una speranzosa ascoltata alle nuove produzioni, augurandosi un ritorno alle origini), e dall'altra le ormonose che si scoperebbero Billie Joe, qualsiasi cosa canti.
Ma vediamo i singoli album, và.


1039/Smoothed Out Slappy Hours: è una raccolta dei primi 3 EP pubblicati con la Lookout Records. Non c'è Tre Cool alla batteria ma John Kiftmeyer (al minimo sindacale), eppure si intravede la bontà della ricetta, in questo punk annacquato tra Ramones e Beatles. Going To Pasalacqua, I Was There e Disappearing Boy ne sono i migliori esempi. Voto 6,5

Kerplunk!: stavolta devo fanculizzare l'obiettività. No One Knows è una delle mie canzoni preferite in assoluto: magnifico giro di basso, testi perfetti, voce adolescenzialmente splendida. Se poi aggiungiamo che tutto il disco è su livelli eccellenti (è un saggio della classe pop dei Green Day) e mi risulta difficile scegliere un altro brano che emerga rispetto agli altri, capirete perchè, a mio parere, Kerplunk! se la giochi quasi alla pari con il disco di cui sotto, come migliore della discografia. Voto 8

Dookie: 36 minuti che vi sembreranno 36 secondi. Un disco perfetto, dalla prima all'ultima traccia, con la marcia in più di 3 singoli potenti, immediati e, nel loro piccolo, storici. I puristi s'incazzeranno, ma per me questo è uno dei dischi fondamentali degli anni '90. Potrei dire che Coming Clean è la perfetta canzone sotto il minuto e mezzo o che l'esplosione di F.O.D è puro orgasmo, ma sarebbe superfluo. Voto 9

Insomniac: quando non assecondavano le masse e le case discografiche, subito dopo il boom popolare di Dookie, i Green Day tirano fuori il loro disco più tirato e nichilista. Sale in cattedra il basso di Mike Dirnt che si prende la scena in più di un'occasione (da Stuck With Me a Panic Song, passando per 86) per un album che conserva la compattezza del predecessore ma se ne frega di piacere a tutti. Un paio di battute a vuoto concentrate nel finale, ma le prime 10 canzoni sono inattaccabili. Voto 7,5

Nimrod: un parto sofferto, dopo 3 anni di tour ininterrotto, per l'album più variegato della band. Toccano tanti generi, persino lo ska, alcune volte con successo (vedi King For A Day), altre con risultati trascurabili (ancora mi interrogo sull'utilità della strumentale Last Ride In). Il risultato è che le 18 tracce proposte conferiscono un senso di disordine generale, a fronte di singoli pezzi che funzionano, eccome, vedi Hitchin' A Ride, Time Of Your Life e Redundant. Avessero sfrondato qualcosa, Dookie avrebbe avuto un altro concorrente. Voto 7-

Warning!: altro frutto di lunga gestazione e, a mio parere, il loro album più sottovalutato. I ritmi punk si travestono di rockabilly con risultati ambivalenti: entusiasmano in Blood, Sex And Booze (altro brano che adoro), Waiting e Minority, ma suonano un po' anonimi in Church On Sunday, Deadbeat Holiday o Jackass. L'intenzione è lodevole e anche alcuni esperimenti (inusuali per i loro standard) come Misery o Macy's Day Parade non sono affatto male. Poteva essere una premessa interessante per il prosieguo, ma il pubblico li snobba e decidono di cambiare strada. Voto 7

American Idiot: come detto sopra, croce e delizia. Analizzate le ragioni del croce, passiamo alla delizia, perchè, innegabilmente la coniugazione del progetto di rock-opera a un genere veloce per definizione come il punk, poteva apparire quantomeno rischiosa. Eppure, i Green Day riescono nell'intento e, tolti alcuni inutili riempitivi (Extraordinary Girl e Are We The Waiting), American Idiot dosa con maestria la magniloquenza insita nei concept album (Jesus of Suburbia è un signor brano di 9 minuti) con i classici 4 accordi catchy della title-track o di Holiday. Nel mezzo, le ballads strappalacrime e acchiappapupe Boulevard Of Broken Dreams e Wake Me Up When September Ends (100 volte meglio quest'ultima) ed un paio di momenti punk-old style come Letterbomb o St. Jimmy che contribuiscono alla riuscita del disco. Voto 7,5

21st Century Breakdown: la cosa strana è che c'hanno messo 5 anni a realizzarlo. Uno si aspetta un cambiamento epocale e si ritrova con la bruttissima copia di American Idiot. Riproposto il concetto della rock-opera, mancano almeno 3 cose: le canzoni (un'accozzaglia di pezzi senza nè arte nè parte), le idee (perchè la rabbia anti-Bush, più o meno autentica, del 2004, qui non trova un destinatario preciso e sembra più palesemente un escamotage attira-teenager) e lo stile (perchè su 19 canzoni, gli echi punk del passato riecheggiano in massimo 2 brani, lasciando al resto quell'impronta di merdarock che piace tanto a quegli sfigati che nel 2011 utilizzano ancora MTV come proprio guru musicale). Voto 3

Sorvolando sui side projects di Mike Dirnt (le due demo dei Frustrators restano comunque un ottimo punk melodico con cui svagarsi) e di Billie Joe Armstrong (i Pinhead Gunpowder non mi hanno mai fatto nè caldo nè freddo), meritano, invece, una citazione a parte 2 lavori riconducibili al marchio Green Day, nati dalla voglia di cazzeggio e sperimentazione del trio di Berkeley.

The Network - Money Money 2020: 40 minuti scarsi molto cazzaroni ma piacevoli, nell'intento di un omaggio a quel gruppo geniale che risponde al nome di DEVO (uno di loro viene reclutato per l'occasione). E' un palese divertissement, fatto di sintetizzatori, tastiere e melodie superimmediate, ma che vale la pena ascoltare. In mezzo a tanto cazzeggio, tra parentesi, si trova una delle mie canzoni preferite dei Green Day, Roshambo. Voto 6,5

The Foxboro Hot Tubs - Stop, Drop And Roll: nati con lo stesso intento dei Network, cioè staccare momentaneamente la spina dai GD per provare a fare altro, i Foxboro ammiccano al rock'n'roll anni '60-70 avvicinandosi tantissimo agli esperimenti rockabilly di Warning. Pezzi come Mother Mary, Pedestrian o la title-track non avrebbero affatto sfigurato in nessun album del gruppo-madre, e anche questa fuga dai Green Day si rivela riuscita (e un po' più sensata dei Network). Voto 7

Non ho citato i 3 live rilasciati finora, sia per essere sicuro che almeno un paio di disperati/esasperati arrivassero a leggere queste righe, sia perchè non aggiungono nulla di nuovo sotto il sole. Per chiudere questo megaexcursus, non mi resta che affidarmi a una citazione tratta da un loro video, sperando che il prossimo album mi convinca a farmi amare (o quantomeno ascoltare senza dire "che merda") anche la seconda metà della loro carriera.


Nice guys finish last, but Green Day always finish first!