venerdì 30 luglio 2010
Saudaçoes
Mentre forse è la volta buona che il governo Berlusconi cada una volta per tutte, io mi faccio assalire dalla solita ingiustificata tristezza pre-viaggio. Domani a quest'ora, sarò a Lisbona a cercare di capire cosa si prova a vedere e toccare l'oceano Atlantico.
Nove giorni.
Più che sufficienti per vedere tutto e non tornarci più.
E' strano, ho sempre utilizzato la vacanza più come "pensatoio" che come diversivo (certo, mi diverto anche eh); in fondo, è con l'estate che si chiude un anno di studio, o di lavoro (o entrambi) e si stacca la spina. Capodanno non conta un cazzo, è solo un lunedì che diventa martedì o un giovedì che diventa venerdì e se non lo festeggi sei fuori dalla realtà.
Io odio Capodanno.
Invece, ogni viaggio per me è stato un'occasione per fare una sorta di bilancio, capire cosa correggere e cosa lasciare inalterato, sfruttando questo momento di alienazione come l'astronauta che capisce com'è veramente fatto il mondo solo quando esce dalla sua atmosfera, e si perde a contemplarne la bellezza.
Chissà, forse è arrivato il momento di rendersi conto che nell'interazione con l'altro sesso c'è qualcosa in più del mero aspetto ludico della conquista.
La teoria c'è. E' la pratica che difetta.
Buona estate, qualunque cosa rappresenti per voi.
Etichette:
cazzate en plein air,
elucubrazioni mentali
martedì 27 luglio 2010
Revisioni: Poliziottesco
Che figo che era Maurizio Merli, ragazzi.
Leggendo la biografia su Wikipedia, non ho potuto fare a meno di provare un moto di empatia per un attore, baciato dalla fortuna più che dal talento, simbolo di un genere così tanto massacrato dai parrucconi della critica cinematografica di quel periodo, ma allo stesso tempo adorato dalla gente che andava al cinema, pagandolo, il biglietto.
Ma la fortuna, si sa, seduce e ammalia con la stessa rapidità con cui ti volta le spalle, lasciandoti a mani vuote senza neanche darti il tempo di accorgertene: cercate su Youtube un'intervista con Corrado dove, sostanzialmente, prega gli ascoltatori di andarlo a vedere a teatro e contemporaneamente si offre a un regista ospite in studio con lui.
E pur se stiamo parlando di un uomo che allora andava abbondantemente verso i 50 anni, non ho potuto fare a meno di provare una grande tenerezza per Maurizio Merli, vedendo quel video; per l'enorme dignità che riesce a mostrare un attore consapevole di essere stato ormai superato, di avere fatto il suo tempo. Una compostezza che oggi non ha nemmeno l'ultimo reduce dal Grande Fratello che, esaurito il suo credito con la sorte, non riesce a trovare un ingaggio per una serata in discoteca e capisce che andare da Barbara D'Urso a spiattellare i suoi cazzi è l'unico modo per raggranellare qualche spicciolo.
Chiusa la digressione (e sono consapevole di non avere speso neanche una parola sulla grandezza di Tomas Milian), 2 parole sui film poliziotteschi che ho visto in questo periodo.
Milano Odia: La Polizia Non Può Sparare : inizio da questo per rendere ciò che è dovuto a Tomas Milian, vero protagonista di questa pellicola che, a differenza delle altre sotto citate, concentra le sue attenzioni sul personaggio negativo piuttosto che sul poliziotto (Henry Silva, ispettore senza infamia e senza lode).
Il tossico e instabile Giulio Sacchi, interpretato dall'attore nato a L'Avana, è convincente nella sua selvaggia violenza (tra tutti quelli che ho visto, è sicuramente il più sanguinolento), nell'anarchica istintività che lo fa sembrare vittorioso nel confronto con lo stato, salvo poi finire in rovina. (emblematico il finale tra i rifiuti) Voto 7
Milano Calibro 9 : più che un poliziottesco è una gangster story che si inserisce nel filone di moda in quel periodo. Relativamente appassionante, ha un difetto fondamentale: Gastone Moschin nel ruolo del bandito, per quanto comunque sia bravo, risulta troppo poco credibile, così come Mario Adorf versione bruto faccendiere del boss. Per fortuna che a migliorare la situazione c'è una lap dance da paura di Barbara Bouchet (alla quale si è dichiaratamente ispirato Robert Rodriguez per i titoli di testa di Planet Terror) Voto 6,5
Il Cinico, L'Infame, Il Violento : l'omaggio a Sergio Leone è evidente, ma dello spaghetti western viene mantenuta soltanto la resa dei conti fra le 3 star del genere: Milian bullo di periferia, John Saxon gangster elegantone (ingegnosa la tortura-golf) e il solito incorruttibile Merli. Divertente, ma non il migliore. Voto 7
Milano Trema: La Polizia Vuole Giustizia : il peggiore. Per tanti motivi. In primis, non c'è Merli. In secundis, non c'è Tomas Milian. E poi c'è Luc Merenda. Lui sì che è una schiappa a recitare: assolutamente fuori ruolo come commissario (oltre che realmente inespressivo), leggermente meglio come infiltrato versione pappone; la vicenda è troppo poco verosimile per essere presa sul serio, ed è insopportabile sentire il protagonista parlare in milanese. Stretto, in alcuni casi. Potete evitarlo, se vi interessa approfondire il genere. Voto 5
Italia A Mano Armata : il migliore. IL poliziottesco, senza cazzi. Basterebbe la colonna sonora di Franco Micalizzi a consigliarne la visione; se non dovesse bastarvi, aggiungete gli inseguimenti spettacolari, il finale grandioso, la 124 Sport del commissario Betti, gli abiti color panna e la collanina che esce dalla camicia aperta. Pietra miliare. Voto 8,5
Roma A Mano Armata : bello. Ma è penalizzato dal fatto che l'ho visto subito dopo il film di cui sopra. Tomas Milian solito istrione e capace di rendere odioso anche un gobbo, e Merli che aggiunge al prototipo del poliziotto incorruttibile una venatura di ossessività (il rapporto con la fidanzata sottomesso al desiderio di giustizia , preferibilmente violenta). Micalizzi fa un buon lavoro con le musiche ma non eguaglia Italia A Mano Armata. Voto 7,5
Insomma, è un genere che ha dato tanto al cinema italiano, oggi intrappolato in una specie di bipolarismo commedie-drammoni, citato da fior di registi e cui varrebbe la pena di dare un'occhiata anche solo per saperne parlare.
Magari anche facendosi due risate, senza prenderlo troppo sul serio.
Ho letto, spesso, che uno dei motivi per cui il genere era poco apprezzato, ai tempi, era l'"odore" di fascismo che aleggiava in questa sete di giustizia a tutti i costi.
Personalmente, mi sembrano delle seghe mentali con tanto di eiaculazione esagerata.
Che poi, a sentire che destra e giustizialismo stanno a braccetto, oggi ci faremmo una risata.
E bella grossa, anche.
Cazzo, il cinema è anche catarsi.
Etichette:
film,
opinioninonrichieste,
revisionimoltolunghe
lunedì 26 luglio 2010
martedì 20 luglio 2010
Popcorn: Broken Flowers
E' difficile essere obiettivi quando si parla di un film con Bill Murray.
Sul serio, per me che nei primi anni '90 ero un pischello quando lui sfornava successi a ripetizione, quest'uomo è un automatico rimando alla mia infanzia, a quando ridevo alle battute di Peter Venkman in Ghostbusters capendone meno della metà (è merito suo se ho scoperto che la parola "spazzola" può indicare ben altro che uno strumento per pettinarsi); e ancora oggi, ogni Natale, spero in una riproposizione in tv di SOS Fantasmi o di Ricomincio da capo.
Capirete, quindi, che sono abbastanza di parte.
Ma credetemi, questo film merita, eccome.
Per quanto obiettivamente possa essere poco credibile come playboy incallito, il buon vecchio Bill costruisce un personaggio tragicomicamente perfetto.
Una lettera anonima, che lo informa dell'esistenza di un figlio, spinge il vecchio Don Johnston a intraprendere una sorta di via crucis delle ex fiamme e potenziali madri.
E' una commedia amara, quella che Jim Jarmusch costruisce intorno all'ex-acchiappafantasmi: un uomo che, improvvisamente, s'imbarca in un revival della vita che fu per capire cosa salvare della vita attuale.
E per quanto la storia regali momenti divertenti (mai però vi scapperà una risata fragorosa), c'è un mood di tristezza, in sottofondo, impossibile da non notare. Lo si vede dall'espressione perennemente fiacca del protagonista (emblematica la scena in cui osserva la strada dal balcone, un po' come ha osservato la vita), dal cromatismo grigio della fotografia (solo a tratti intervallato dal rosa dei fiori e dei mille indizi sparsi nel film), dai lunghi silenzi nei dialoghi con le vecchie fiamme, simbolo dell'usura dei legami e dell'impossibilità di comunicare.
La monoespressione di Bill Murray è pienamente sensata e motivata nel contesto della trama: è manifesto dello smarrimento e della deriva su cui il suo Don ha poggiato la propria vita e basato gli affetti; un vagare senza meta che trova ordine solo quando l'amico con l'hobby dell'investigazione gli predispone per intero un viaggio che, fosse dipeso da lui, probabilmente non avrebbe mai intrapreso, rimanendo sul divano a vedere e rivedere un vecchio film su Don Giovanni.
E le varie rimpatriate, anch'esse non prive di spunti di riflessione sull'infelicità (dalla splendida vedova Sharon Stone all'algida imprenditrice con passato da hippie di Frances Conroy), non fanno che acuire il senso di "occasione mancata" che il protagonista nutre nei confronti della propria esistenza, al punto da indurlo a tentare di porvi rimedio con tentativi maldestri; esemplare è la scena del pranzo offerto al ragazzo in viaggio: una goffa (e tenera) intenzione di essere paterni, sinceramente affettuosi, nel dire "Bene, il passato è passato, questo lo so. E il futuro non è ancora arrivato. Qualunque cosa sia, dunque, l'unica cosa che esiste è questa. Il presente. Così è."
Come in altri film di Jarmusch, il commento musicale è una perla dentro la perla; le musiche di Mulatu Astatke, padre dell'ethio-jazz, e il gusto retrò di Holly Golightly & The Green Hornets, sono un perfetto accompagnamento sonoro per il viaggio di Don, in giro per un'America, raramente così nebbiosa e plumbea, quasi adeguata all'umore del protagonista. Una sorta di meteoropatia all'inverso.
Penso siano sufficienti motivi per consigliarne la visione.
E nonostante le premesse di parzialità, direi che può apprezzarlo anche chi odia Bill Murray (se mai esista qualcuno che non lo trovi simpatico).
Voto 8
venerdì 16 luglio 2010
Restless Syndrome
Datemi una vacanza, una fuga dalla realtà, una libera uscita dalla monotonia che mi circonda e ottenebra la mente, un'ora d'aria fuori dalla prigione dei doveri e delle norme di convivenza civile, una scappatoia dalle incombenze che incessanti martellano sulla schiena, una pausa dal furioso impegno sinaptico dei miei neuroni ipereccitati, un letto dove poter trovare quiete senza rigirarmi ripetutamente alla ricerca di una posizione realmente comoda.
Datemi tregua.
Datemi riposo.
Etichette:
cazzate en plein air,
elucubrazioni mentali
mercoledì 14 luglio 2010
Popcorn: Invictus
Quando si fanno film biografici, uno dei rischi più grandi è cadere nell'agiografia, trasformando il ritratto di un uomo (con tutti i suoi pregi, ma anche con tutti i suoi difetti) in quanto di più vicino ad un santo, col risultato di rendere il tutto meno veritiero (e verosimile) e un po' stantìo.
E devo ammettere che, stante l'enorme caratura di Nelson Mandela, la sensazione di avergli intravisto un'aureola in testa, qualche volta, l'ho avuta. Ma magari è solo colpa mia e del solito dubbioso atteggiamento che nutro nei confronti della bontà pura; e qui entreremmo in un ambito totalmente diverso, che non c'entra nulla.
Detto questo, i difetti di Invictus finiscono qua.
Clint Eastwood, a oggi, è uno dei pochi grandi Maestri del cinema. Uno di quelli che sanno far parlare la telecamera, trasformandola in una mosca che gira per il set, riprendendo tutto ciò che vede in una maniera così naturale e pura, da lasciarti senza parole.
Memorabili le scene che ritraggono le partite degli Springboks durante la Coppa del Mondo; non ricordo di aver mai visto uno sport rappresentato così bene al cinema. Gli stacchi sul pubblico, che a poco a poco si mescola ed esulta insieme, non fanno che aumentare l'impatto emotivo e il sentimento di partecipazione a quell'impresa storica: lì veramente il paese si unisce, diventando tutt'uno con i 15 giocatori verde-oro, a prescindere dal colore della pelle.
Splendido, poi, il momento in cui gli Springboks improvvisano una lezione per i bambini delle bidonville: così autentico, vero, perfetto. E con delle musiche magnifiche a sottolinearlo.
Morgan Freeman, dal canto suo, tratteggia un Mandela impressionantemente identico all'originale che (momenti di santità a parte), pur mantenendo sempre la parvenza di un uomo normale, è di fatto l'unico sudafricano in grado di realizzare qualcosa di straordinario, con la massima semplicità.
Emblematica è la scena del colloquio con i rappresentanti del suo partito: poche parole ma che arrivano tutte al cuore di chi lo ascolta.
Il François Pienaar di Matt Damon è convincente, solido e credibile, specie nella stretta di mano finale, durante la premiazione (scena da brividi) e nella già citata lezione ai bambini africani.
Significativo e tenero il momento in cui regala i biglietti per l'ultima partita ai familiari e alla domestica di colore.
Insomma, in parole povere, meta trasformata per Eastwood.
Ora vi beccate la meravigliosa poesia di William Ernest Henley, citata da Mandela, e che dà il titolo al film.
Dal fondo della notte che sovrasta
Come l’Inferno, polo a polo, nera,
Ringrazio qualunque dio esista
per l’anima mia così fiera.
Nel crudo artiglio degli eventi
Non ho gridato mai nè sussultato.
Sotto i colpi di fortuiti accadimenti
Il capo è ferito e non piegato.
Oltre ‘sto sito di pianto e grida
Incombe delle tenebre l’Orrore.
Eppure negli anni ogni sfida
Mi trova, e troverà, senza timore.
Per quanto angusto sia il cammino,
Per quante pene il cartiglio abbia severe,
Sono maestro del mio destino:
Voto 8
lunedì 12 luglio 2010
Blue Spanish Sky
Sì sì, ok, avete vinto. Mobbastaperò.
Che poi, non capisco questa diffusissima filo-ispanicità che ho visto esplodere su Facebook a suon di "Vamos!" e "Olè!", dopo che c'hanno abbondantemente preso in giro per l'eliminazione nella fase a gironi.
Speravo in Robben solo davanti a Casillas ma non c'è stato nulla da fare: la Spagna era la squadra più forte di questo Mondiale. Tecnicamente superiore a tutte in ogni reparto, fastidiosamente brava nel possesso palla e più coesa come gruppo, per ovvi motivi (la formazione titolare è fatta quasi interamente da Barça e Real).
L'Olanda, fino all'espulsione di Heitinga, ha dignitosamente fronteggiato gli iberici soffocando il fraseggio dei centrocampisti avversari con un gioco concreto e più rude (con virate verso i tentati omicidi alla Van Bommel o alla De Jong), e con sporadiche illuminazioni di Sneijder per un Robben un po' troppo pasticcione.
Poi la classe di Iniesta, Xavi, Sergio Ramos e le sgroppate di Jesus Navas hanno fatto il resto.
Anche se ho letto ovunque di una brutta finale, a me non è dispiaciuta affatto da vedere. Aspettarsi un gioco spettacolare e a viso aperto da una partita che, per molti calciatori, è quella della vita mi sembra un po' fuori luogo.
Qui conta vincere, senza troppi fronzoli.
E gli olandesi c'hanno provato (e stavano quasi per riuscirci ). Onore a loro, onore agli spagnoli che, al momento, sono di un altro pianeta.
Per ora.
PS: Migliore spagnolo in campo
venerdì 9 luglio 2010
Californication - Stagione 3
Ho sempre pensato che Californication fosse una serie da amare o odiare. Indubbiamente, non è un prodotto per tutti e, più di una volta, durante la visione di un qualsiasi episodio, può nascere il sospetto che non ci sia un plot vero e proprio se non un mucchio di pretesti per spingere il racconto oltre il limite del decente ma appena prima del porno.
Ecco, io ho amato la prima stagione.
Un comedy brillante e corrosivo con un protagonista grandioso (vera anima in pena di Bukowskiana memoria), comprimari spassosi e ben delineati, una colonna sonora perfetta, fighe da paura, episodi memorabili (1x08 "California Son", per me, è un piccolo capolavoro) e chi più ne ha più ne metta.
Ho odiato la seconda stagione.
Gli autori hanno mandato a puttane (mai termine più appropriato) quanto di buono avevano seminato nella prima, producendo un'accozzaglia di pseudo-gag a sfondo sessuale (alcune veramente insulse, roba che neanche Boldi e De Sica..) senza una vera trama portante per tutti e 12 gli episodi, e riducendo un personaggio così affascinante ad un povero cazzone con serie difficoltà a tenere l'uccello entro i limiti della proprio zip.
Ok, ho appena visto la terza stagione.
Mi è piaciuta.
L'ho trovata un riuscito mix degli elementi positivi delle 2 precedenti: Hank riacquista un certo spessore, la presenza non assidua del personaggio di Karen, paradossalmente, le concede maggiore incisività, il gusto per l'"estremo" viene ricondotto a dinamiche narrative più o meno plausibili, diventando raramente fine a sè stesso, e le sottotrame sono più che godibili: dall'adolescenza di Becca ai coniugi Runkle, passando per l'arrapatissima Sue Collini(una Kathleen Turner visibilmente sfatta con gli anni) e la rockstar maledetta Rick Springfield, as himself, che in America sarà pure famoso, ma confesso candidamente di non sapere chi sia.
Discorso a parte per il fattore gnocca, quest'anno veramente in quantità e qualità notevoli.
Basterebbe solo quella megafiga (ok, mi contengo) di Eva Amurri, ma aggiungerei anche Diane Farr , tra le gnappe da ricordare.
Certo, senza dimenticare la McElhone che, a mio parere, non è bellissima, ma ha un enorme fascino.
Finita questa rassegna di materiale da pugnette, va detto comunque che, oltre ad aggiungere sex appeal, le new entries portano dei personaggi interessanti e divertenti da vedere nell'interagire con Hank, specie la studentessa interpretata dalla figlia di Susan Sarandon.
Se da un lato è vero che i primi 2 episodi possano risultare abbastanza incolori, dall'altro, è innegabile che, introdotti i nuovi ingressi, la storia si fa più godibile e Californication riesce a regalare quei 30minutixepisodio di risate e svago per giovani-vecchi adulti.
Dovendo scegliere la puntata migliore, andrei decisamente sull'ultima "Mea Culpa", amaro contraltare all'esilarante "Comings & Goings" precedente, e promettente base per la quarta stagione prevista per settembre.
Voto 7,5
lunedì 5 luglio 2010
Fringe - Stagione 2
Non so voi (ipotetici lettori), ma a me Fringe piace. E parecchio, anche.
Sono cresciuto a pane e X-Files e l'anno scorso ho recuperato Twin Peaks, adorandolo. Nel panorama seriale moderno, questo telefilm è quanto di più vicino ai 2 capolavori televisivi sopracitati.
Con la seconda stagione, poi, Fringe riesce a distinguersi dai capostipiti uscendo dal clichè di "copia aggiornata" delle indagini di Mulder, Scully e di Dale Cooper. Merito anche di una caratterizzazione dei personaggi molto più approfondita che nella prima stagione; il vero fulcro della serie, infatti, è il rapporto padre-figlio tra l'instabile Walter Bishop e il tutore "alternativo" Peter.
E qui occorre spendere due parole sul lavoro degli attori. Superlativo John Noble, veramente da applausi nel tratteggiare una personalità multisfaccettata, rendendosi credibile sia nei momenti di sconforto e smarrimento di un ex-paziente psichiatrico (con un passato oscuro e tormentato) sia nei momenti di genialità di uno scienziato sopra le righe. Per non parlare dell'essere in grado di imprimere un marchio di solidità e durezza al "Walternate" in pochissime battute, semplicemente con piccole ma significative modificazioni del tono di voce e della mimica facciale.
Bravo anche Joshua Jackson (che, a naso, mi stava sulle balle già da Dawson's Creek), ma che plasma bene Peter tra momenti di serenità e malinconia e disorientamento (specie nello splendido "Northwest Passage", palese omaggio ai 2 telefilm genitori sopracitati). Così, Bishop sr. e jr. diventano veri co-protagonisti, soprattutto il secondo che, troppo spesso, nella prima stagione era semplicemente una balia del padre.
In tutto ciò, gli autori mostrano pieno controllo della situazione, facendo in modo che l'ascesa dei 2 Bishop non tolga troppo spazio ad Olivia Dunham. Anche al personaggio di Anna Torv (che per me è una gnocca assoluta ), vengono aggiunti dettagli che fanno della bionda agente dell'FBI una donna, solo in apparenza, fredda e determinata; in realtà, fragile e alla ricerca di qualcuno che la protegga. C'è tempo anche per i comprimari che guadagnano campo in alcuni episodi, specie l'agente Farnsworth; mentre continuo a trovare poco sfruttato, invece, il grande Lance Reddick nei panni di Philip Broyles.
I detrattori rimproverano a questa serie l'eccessiva presenza di episodi stand-alone, a scapito di quelli legati all'intreccio principale che (un po' come nella prima stagione) sono concentrati nella seconda metà della serie: io non mi trovo d'accordo, avendo trovato molti episodi autoconclusivi veramente godibili (tra tutti, "White Tulip" con Peter Weller guest-star o "What Lies Below" che mi ha fatto ricordare il mitico "Ice" di X-Files, fino all'episodio-musical "Brown Betty" che ho apprezzato, pur odiando i musical in genere).
Riconosco, ovviamente, che Fringe dà il meglio di sè nella trama orizzontale: da "Peter" (vogliamo parlare della figaggine dell'opening versione anni '80??) fino al meraviglioso finale, su cui non dico nulla per evitare spoiler (concedetemi solo: grande Leonard Nimoy!).
A questo punto, attendo con trepidazione la terza stagione (che credo inizi a settembre) e mi auguro che J.J. Abrams non ripeta anche con questa serie quanto fatto con le sue precedenti creature, avviate in maniera promettentissima per poi essere mollate a metà strada e abbandonate a una triste deriva (vedi le ultime stagioni di Lost...detto da uno che, nonostante tutto, ha apprezzato l'ultimo episodio).
Voto 8,5
Sono cresciuto a pane e X-Files e l'anno scorso ho recuperato Twin Peaks, adorandolo. Nel panorama seriale moderno, questo telefilm è quanto di più vicino ai 2 capolavori televisivi sopracitati.
Con la seconda stagione, poi, Fringe riesce a distinguersi dai capostipiti uscendo dal clichè di "copia aggiornata" delle indagini di Mulder, Scully e di Dale Cooper. Merito anche di una caratterizzazione dei personaggi molto più approfondita che nella prima stagione; il vero fulcro della serie, infatti, è il rapporto padre-figlio tra l'instabile Walter Bishop e il tutore "alternativo" Peter.
E qui occorre spendere due parole sul lavoro degli attori. Superlativo John Noble, veramente da applausi nel tratteggiare una personalità multisfaccettata, rendendosi credibile sia nei momenti di sconforto e smarrimento di un ex-paziente psichiatrico (con un passato oscuro e tormentato) sia nei momenti di genialità di uno scienziato sopra le righe. Per non parlare dell'essere in grado di imprimere un marchio di solidità e durezza al "Walternate" in pochissime battute, semplicemente con piccole ma significative modificazioni del tono di voce e della mimica facciale.
Bravo anche Joshua Jackson (che, a naso, mi stava sulle balle già da Dawson's Creek), ma che plasma bene Peter tra momenti di serenità e malinconia e disorientamento (specie nello splendido "Northwest Passage", palese omaggio ai 2 telefilm genitori sopracitati). Così, Bishop sr. e jr. diventano veri co-protagonisti, soprattutto il secondo che, troppo spesso, nella prima stagione era semplicemente una balia del padre.
In tutto ciò, gli autori mostrano pieno controllo della situazione, facendo in modo che l'ascesa dei 2 Bishop non tolga troppo spazio ad Olivia Dunham. Anche al personaggio di Anna Torv (che per me è una gnocca assoluta ), vengono aggiunti dettagli che fanno della bionda agente dell'FBI una donna, solo in apparenza, fredda e determinata; in realtà, fragile e alla ricerca di qualcuno che la protegga. C'è tempo anche per i comprimari che guadagnano campo in alcuni episodi, specie l'agente Farnsworth; mentre continuo a trovare poco sfruttato, invece, il grande Lance Reddick nei panni di Philip Broyles.
I detrattori rimproverano a questa serie l'eccessiva presenza di episodi stand-alone, a scapito di quelli legati all'intreccio principale che (un po' come nella prima stagione) sono concentrati nella seconda metà della serie: io non mi trovo d'accordo, avendo trovato molti episodi autoconclusivi veramente godibili (tra tutti, "White Tulip" con Peter Weller guest-star o "What Lies Below" che mi ha fatto ricordare il mitico "Ice" di X-Files, fino all'episodio-musical "Brown Betty" che ho apprezzato, pur odiando i musical in genere).
Riconosco, ovviamente, che Fringe dà il meglio di sè nella trama orizzontale: da "Peter" (vogliamo parlare della figaggine dell'opening versione anni '80??) fino al meraviglioso finale, su cui non dico nulla per evitare spoiler (concedetemi solo: grande Leonard Nimoy!).
A questo punto, attendo con trepidazione la terza stagione (che credo inizi a settembre) e mi auguro che J.J. Abrams non ripeta anche con questa serie quanto fatto con le sue precedenti creature, avviate in maniera promettentissima per poi essere mollate a metà strada e abbandonate a una triste deriva (vedi le ultime stagioni di Lost...detto da uno che, nonostante tutto, ha apprezzato l'ultimo episodio).
Voto 8,5
sabato 3 luglio 2010
5 Buoni Motivi Per Tifare Olanda
Fermo restando che certe foto fanno aumentare il rimpianto per non essere ancora andato nei Paesi Bassi (e questa non è l'unica strafiga arancione immortalata in Sudafrica), arrivato ai quarti, orfano della mia Nazionale punto tutto sugli oranges. Per vari motivi:
A- ho sempre adorato il loro completino.
B- è il tipo di squadra che adoro da sempre: giovani con un mix perfetto di giocatori talentuosi (Sneijder, Robben, Van Persie) e di concretezza (Kuyt, De Jong, lo stesso ruvidissimo Van Bommel)....purchè non facciano entrare quel pippone di Huntelaar.
C- andando per esclusione, sono quelli che mi fanno più simpatia seguiti da Spagna (che non deve vincere, giusto per non ereditare la supponenza francese da "campioni di tutto"), Germania (adoro questo meltin' pot di giocatori, che poi, è veramente uno specchio dell'attuale società tedesca; tuttavia, non ho dimenticato le schifezze che hanno detto su di noi 4 anni fa) e Uruguay (senza infamia e senza lode, sono arrivati in semifinale per il cammino piuttosto agevole). Il Paraguay non lo considero, dato che stasera, verosimilmente, verrà sbattuto fuori (avrei preferito 100 volte il Giappone ai quarti, almeno giocano a calcio.)
D- una finale con l'Uruguay sarebbe pallosissima.
E- le tifose olandesi sono delle strafighe, ma questo credo di averlo già detto.
PS: sono contento per Maradona. Grandissimo calciatore, ma piccolo uomo. E allenatore improvvisato, come si è visto. Alla prima seria avversaria (e senza errori arbitrali), l'Argentina si è sciolta come neve al sole, mostrandosi per quella che è: un collage di fenomeni singolarmente presi, privi di una qualsiasi idea di gioco (cosa che dovrebbe dare il CT, in teoria). Neanche Oronzo Canà terrebbe in panchina gente come Diego Milito e Juan Sebastian Veron. Per non parlare di Javier Zanetti e Cambiasso che dal salotto di casa hanno potuto ammirare fuoriclasse come Otamendi e Demichelis (e non sono interista, attenzione.)
A questo punto, come molti giornalisti si sono scusati con lui mi aspetto che ora faccia lo stesso con quelli che ha invitato a "chuparglielo".
giovedì 1 luglio 2010
Home Sweet Home
Quanto è frustrante constatare che mancanza di rispetto e prevaricazione sono di casa a casa tua? (scusate il gioco di parole ma ci sta)
Andersen. E in fretta, anche.
Etichette:
cazzate en plein air,
elucubrazioni mentali
Iscriviti a:
Post (Atom)