domenica 30 ottobre 2011

Dischi Del Mese: Ottobre '11




Questo mese vince a mani basse la copertina escheriana dei Wilco, per un lavoro che ha tutti i connotati per finire nella top ten dei dischi dell'anno. Intanto, ritorni post-rotture, seconde prove e piccoli passi verso platee più vaste, con una piccola e doverosa parentesi sui Blink-182: l'adolescente con borchie e spille da balia che è in me li ha amati parecchio ai tempi del liceo. Prima di fare il boom su MTV, il trio di San Diego era uno dei gruppi punk più piacevoli e interessanti in circolazione. Poi arrivarono le major, 2 album al servizio di teenager infoiate e discografici mangiasoldi, i side-project e un ultimo disco (quello del 2001) veramente notevole per come lasciava intuire nuove possibilità di sperimentazione all'interno di un genere che sembra essersi giocato da tempo un po' tutte le carte a disposizione. Peccato che pochi mesi dopo l'uscita dell'album omonimo, Mark, Tom e Travis mettano in pausa la band, attirati da progetti personali che si riveleranno più o meno fallimentari.
Fino alla decisione di riunirsi e riprovarci.
Chiusa parentesi, vediamo che è uscito.


Wilco - The Whole Love: basterebbe la splendida Art Of Almost di cui sotto a giustificare l'acquisto del cd. Otto minuti sospesi tra un inizio electro-kraut, che farebbe schiattare di invidia gli ultimi Radiohead, e un furibondo e selvaggio assolo di chitarra di quel talento assoluto che è Nels Cline. Poi si torna su binari più convenzionali, ma non per questo banali o meno validi: Dawned On Me, Standing O e la title track suonano orecchiabili e beatlesiane, le tipiche venature folk riemergono inossidabili in Rising Red Lung e Black Moon e spetta ai deliziosi 12 minuti conclusivi di One Sunday Morning chiudere in bellezza un disco solido e di conferma, per una band che finora non ha sbagliato un colpo. Voto 8

Kasabian - Velociraptor!: sono dei furboni. E la mini-recensione potrebbe chiudersi qua: la realtà è che sanno soddisfare tutti i tipi di palati, dal dance rock usa e getta della title-track o di I Hear Voices, a tracce più ambiziose come Neon Noon o Switchblade Smiles che zittirebbero il più intransigente degli hipster. Probabilmente non faranno mai nulla di memorabile, ma non gliene frega niente a nessuno, loro in primis. Prendere o lasciare. Voto 6+


The Drums - Portamento: combinare gli Smiths alle sonorità surf non è un'impresa da poco, ma già col disco d'esordio i Drums avevano mostrato di saperci fare. Manca forse una hit come Let's Go Surfing e il suo fischiettìo maligno, o come We Tried (che al sottoscritto piaceva parecchio), ma la formula non è cambiata granchè e il lavoro è sempre pregevole. Money, What You Were e I Don't Know How To Love sono le punte di un disco che forse è più bello da ascoltare integralmente, che non per singola traccia. Se è un merito o meno, decidete voi. Voto 6,5


Clap Your Hands Say Yeah! - Hysterical: un po' di solarità che riempie il cuore. Gli ingredienti sono i soliti (la voce sgraziata e lamentosa di Alec Ounsworth, le melodie immediate addolcite da tastiere melliflue e chitarre in salsa shoegaze), il risultato è sempre buono, fresco e godibile, con gioielli come Into Your Alien Arms e la sua coda ambient o la verve in apertura di Same Mistake, passando per l'appiccicosa Ketamine And Ecstasy fino alla digressione stramba di Adam's Place. Promossi. Voto 7+


Blink 182 - Neighborhoods: ebbene com'è questo atteso ritorno? Tanto coraggioso quanto nostalgico nel non perseguire necessariamente la melodia immediata e il pezzo radio-friendly (tolto il singolo Up All Night) in favore di una miscellanea (spesso insapore) di ingredienti del recente passato; Snake Charmer riporta alla mente i mai troppo rimpianti Boxcar Racer, Heart's All Gone è un pezzo punk bello tirato e melodico il giusto, Wishing Well prosegue il tour dalle parti di Enema Of The State, ma il problema di fondo è che la voce di Tom (sempre più dominante rispetto a Mark) è diventata, se possibile, ancora più insopportabilmente nasale che in passato, tanto che in alcuni passaggi sembra di ascoltare in FFW. Tolto questo piccolo grande inconveniente (magari c'è a chi piace), tutto sommato mi aspettavo di peggio. Voto 6-




lunedì 24 ottobre 2011

SetteLibri







Altra top 7 molto sofferta, considerando l'assenza di libri che mi è dispiaciuto finire come Il Grande Sonno di Raymond Chandler, Io Sono Leggenda di Matheson, Il Fu Mattia Pascal o Il Giocatore di Dostoevskij. Ho scelto di getto, ed è superfluo dare ulteriori spiegazioni.


7- La Casa Del Sonno



6- Il Vecchio Che Leggeva Romanzi D'Amore



5- La Strada



4- Il Signore Delle Mosche


3- Pulp


2- Soffocare


1- Metamorfosi



Prossima Puntata: SetteComics

mercoledì 19 ottobre 2011

Uomini Da Stimare Molto: Nathan Fillion







Metà ottobre ed inauguriamo una rubrica dedicata a quei rappresentanti del genere maschile verso i quali nutro un'ammirazione tale che il "ti stimo molto" di fantozziana memoria non basterebbe ad esplicarne la portata.
Con la doverosa precisazione valida per tutte le puntate di questa rubrica, e cioè "non sono gay", cominciamo con Nathan Fillion.
Innanzitutto, chi diavolo è Nathan Fillion?
Dalla foto di copertina che campeggia qui sopra si potrebbe accettare la risposta "un faccia da pirla".
Anche perchè è innegabilmente vero che lo sia.
Ed è da ammirare (anche) per questo.
Volendo essere un po' più esaustivi, invece, parliamo di un attore canadese, nativo di Edmonton e trapiantato a New York, che ha avuto il suo trampolino di lancio in una banalissima soap opera intitolata One Life To Live.
Non fate quelle facce, please.
O devo proprio ricordarvi Johnny Depp agli esordi in 21 Jump Street?


E che dire, allora, di Leonardo DiCaprio in Genitori In Blue Jeans?


Ci sono passati tutti, insomma.
Il tempo scorre, i blue jeans a sigaretta passano di moda, i capelli cotonati pure, e le soap continuano a fare schifo esattamente come allora. Poi c'è chi vince l'Oscar, chi diventa un sex symbol e chi si erge a icona e portabandiera della nerditudine.


E a Capitan Martellone non si può non voler bene a priori.
Se invece siete dei SanTommaso bisognosi di prove di santità/divinità/coolness, eccovi 8 validi motivi per stimare Nathan Fillion:

- tanto per cominciare, per Firefly-Serenity. (ne ho parlato qui e non mi dilungherò oltre)

- perchè Slither (2006) è un gioiello horror dal sapore nostalgico anni '80 con un protagonista (chevvelodicoaffà) perfetto nel rappresentare il prototipo dell'eroe sfigato ma di buon cuore.

- perchè nell'unico episodio di Lost in cui appare se la fa con Evangeline Lilly. Chiamalo scemo.

- perchè Dr. Horrible's Sing Along Blog è l'unico musical che abbia mai amato in vita mia (sia perchè dura poco, sia perchè compaiono contemporaneamente Barney Stinson e il Fillion-Capitan Martellone di cui sopra)

- perchè in Super (2011, ne ho parlato qui) il suo Holy Avenger, anche quando non parla, è una delle cose più divertenti mai viste.



- perchè in Castle salva da solo tutta la traballante baracca di quello che normalmente sarebbe un anonimo procedurale poliziesco, trasformandolo in uno one man show godibile e divertente. E, non contento, riesce a trovare il tempo per flirtare fuori dal set con le 2 fighe del cast.

- perchè, da grande fan dei videogiochi quale è, sta facendo di tutto per aggiudicarsi il ruolo di Nathan Drake nell'adattamento di Uncharted e ha tutte le ragioni del mondo per volerlo fare.

-per il video che trovate qui:
PG PORN: NAILING YOUR WIFE, Now in High(er) Definition

mercoledì 12 ottobre 2011

Popcorn: The Girlfriend Experience



Di Steven Soderbergh dicono tutti che è antipatico.
Tutti, persino il tuo vicino di casa che non ha mai visto un film al cinema, se non Vacanze di Natale '99.
Non appena ne pronunci il nome la prima reazione oscilla tra "Marò, che uomo odioso!", "Si sente figo perchè è amico di Clooney", e "Fa tutto il sofisticato ma sotto sotto è scarso"
Ora, io il povero Soderbergh non l'ho mai incontrato di persona; visto da lontano, non mi sembra proprio un fine umorista, ma magari mi sbaglio ed è il più bravo barzellettiere-cabarettista del mondo dopo l'Invincibile (cosa che, in realtà, lo farebbe rientrare a pieno titolo nella categoria 'antipatici', ma vabbè..).
Fatto sta che finora ho apprezzato abbastanza quei pochi suoi film che mi è capitato di vedere; dal criticatissimo remake di Solaris (che è sputtanato un po' ovunque, ma che ha un suo perchè, a mio parere) passando per Traffic e per il recentissimo Contagion, financo alle tre glamourosissime minchiate di Ocean's, credo di poter affermare con ragionevole fermezza di gradire quantomeno lo stile del regista di Atlanta.
Questo è probabilmente il suo film più scognito, dal basso del suo misero milione di dollari di budget complessivo, ma vederlo potrebbe portarvi a rivalutare il buon Steven.
Perchè The Girlfriend Experience è una delle cose più femministe che abbia mai visto; ed è ironico/geniale/paradossale considerato che è una escort a rappresentare l'enorme potere detenuto dal gentil sesso, al giorno d'oggi; così come è geniale/paradossale/straniante che le fattezze di questa self-made woman siano modellate sulle curve sensuali e vertiginose di Sasha Grey, probabilmente la più nota pornostar in circolazione (almeno fino a un paio di anni fa, vista la sua recente conversione al cinema d'autore).
Lungi dal dare valutazioni morali sull'esercizio del mestiere più antico del mondo, il film segue
con stile documentaristico la frenetica vita di Chelsea, escort di lusso a Manhattan, tra shopping compulsivo, clienti piagnoni, maschi alfa, depravati e nevrastenici terrorizzati dallo spettro della crisi finanziaria che incombe (elemento costantemente richiamato in scena).
L'ovvio ritratto impietoso che ne esce del genere maschile sembra per un attimo nobilitato dalla figura del fidanzato open-minded di Chelsea, salvo poi uniformarsi, anche quest'ultimo, al grigiore generale del maschio-medio.
A contraltare di un perpetuo massacro del testosterone, Sasha Grey è inaspettatamente brava, convincente e innegabilmente bella nel ritrarre la necessaria maschera di una donna determinata, furba e, ovviamente, abile nel manovrare gli uomini, pur celando a fatica una dimensione più intima e fragile nella sua umanità.
Non c'è una mitizzazione della protagonista, ma un chirurgico punto di vista freddo e neutrale (tipico del regista) mirato a fornire un'istantanea della società e della realtà del momento.
E se da un lato può sembrare tutt'altro che femminista ricondurre il fulcro del potere delle donne alla mercificazione del proprio corpo, dall'altro appare evidente (e sarebbe ipocrita negarlo) che è dalla debolezza dell'uomo che tutto ciò origina.
L'uomo fa schifo, e la donna ne approfitta, senza tante questioni morali su ciò che è giusto o sbagliato.
Non occorre neanche andare troppo lontano.


Voto 8

giovedì 6 ottobre 2011

SetteSerieTv


Altra top 7, altri bagni di sangue, in attesa di recuperare Breaking Bad e Battlestar Galactica. Ero tentato dall'inserimento di House, ma le ultime 2 stagioni di eccessi caricaturali e forzature sentimentali (per me l'ultimo episodio veramente bello è Broken, season opening della sesta) mi hanno indotto al ripensamento.


7- Romanzo Criminale



6- Firefly



5- Six Feet Under



4- Dexter



3- Twin Peaks



2- Lost



1- X-Files


X-Files resta inamovibilmente il telefilm del mio cuore, nonostante le ultime due (evitabili) stagioni. Perchè Fox Mulder è il prototipo ante-litteram del nerd sognatore, perchè ha in parte segnato il mio immaginario, perchè mi ha fatto provare i primi veri brividi di paura e perchè sull'anta destra del mio armadio, accanto al poster di Pulp Fiction, campeggia tuttora la foto di un UFO con la scritta I Want To Believe.
Nonostante un finale alla cazzo, segue Lost, che
, oltre ad avere un consistente valore affettivo, è stato anche il motore del ritorno di fiamma per le serie tv; poi Twin Peaks, sul quale mi sembra superfluo dire qualcosa, e Dexter, per il modo in cui affronta un tema che adoro (il sottile confine tra Bene e Male), nonostante una terza stagione non all'altezza e un finale di quinta fastidiosamente resettante.
Una menzione speciale la merita Six Feet Under, in virtù di 5 stagioni meravigliose, e del finale di serie più bello che abbia mai visto: continuo ad adorare l'affascinante controsenso su cui poggia l'intero telefilm, per cui una famiglia di becchini sia la migliore rappresentazione televisiva della Vita.
Due parole su un recente recupero qual è Firefly di Joss Whedon: un'eccellente serie sci-fi misteriosamente troncata alla prima stagione, con personaggi carismatici e per i quali si prova simpatia/affetto fin dalla prima inquadratura; io ancora mi interrogo sui motivi del boom planetario di Buffy (che è l'unica cosa partorita da Whedon che non riesco ad amare), a dispetto di questo piccolo gioiello di fantascienza.
Dulcis in fundo, Romanzo Criminale: la migliore serie tv italiana di sempre. Senza cazzi. Ne è prova l'interesse della HBO per trasmetterla in America, senza remake: così com'è.
Perchè Stefano Sollima e il gruppo di sceneggiatori fanno un lavoro eccellente nel dipingere l'ascesa e il crollo di una banda di ladruncoli da 4 soldi, trovatisi improvvisamente a comandare su Roma.
Perchè gli attori finalmente recitano davvero, la regia non è il solito compitino squallido alla Don Matteo, gli intrecci appassionano e l'uso delle musiche è da maestri (ve lo dice uno che è riuscito ad apprezzare persino l'utilizzo di Vasco nella colonna sonora).
Imperdibile, insomma.
Ripensandoci, forse è stata la top 7 più semplice.


Prossima Puntata: SetteLibri

sabato 1 ottobre 2011

Popcorn: Drive



Il post su Nicolas Winding Refn mi permette di saltare i preamboli ed andare direttamente al sodo.
Ciò che rende Drive uno dei migliori film usciti nel 2011 è il suo essere così spaventosamente anacronistico da potersi permettere di sbattertelo in faccia per tutti i 90 minuti, convincendoti che sia giusto così.
Del resto, c'è dentro così tanta roba in questo debutto hollywoodiano del regista di Copenaghen che a tratti sembra incredibile che sia riuscito a collimare tutto bene: se il solitario e taciturno pilota, interpretato da un Ryan Gosling sempre più idolo, ricorda spesso e volentieri una sorta di Travis Bickle dei giorni nostri (con ovvi riferimenti al Driver di Walter Hill), la lenta e inesorabile discesa nell'abisso della violenza viene elaborata sotto un'estetica noir che, a mio avviso, deve moltissimo al David Lynch di Velluto Blu e Cuore Selvaggio (dai titoli di testa al contributo sonoro di Angelo Badalamenti); non contento, Refn piazza riferimenti vari al cinema action anni '80 di Michael Mann e riesce persino a strizzare l'occhio al poliziottesco italiano (vedasi l'ingerimento del proiettile direttamente da Roma A Mano Armata).
Embè, dove sta il genio, direte voi?
Nel fatto che l'elemento citazionista non è un mero esercizio di copia&incolla, quanto un progressivo stratificarsi di topoi e soluzioni narrative (con annessi clichè tipici del genere) sublimati in un stile totalmente personale.
Laddove un qualsiasi Fast And Furious ipertrofizza tutto ciò che è adrenalina, testosterone e "machitudine", facilitando l'empatia del pubblico con un protagonista un po' guascone e acchiappafighe, Drive rallenta fino a cristallizzare, assorda con un sottofondo musicale vacuo e gelido e ci porta a seguire le gesta di un antieroe taciturno e indecifrabile nelle sue intenzioni dall'inizio alla fine.
Così, una classica vicenda pulp (neanche tanto originale) diventa una terribile fiaba nera, selvaggia e violenta, con punte di lirismo inaspettate e immagini di inappuntabile eleganza formale (si prendano il finale nel parcheggio o la colluttazione in ascensore).
Se ciò non dovesse bastarvi, il cast è da urlo: a Gosling dedicheremo un post futuro, ma sarebbe ingeneroso non citare un grandioso Bryan Cranston, due caratteristi di sicuro affidamento come Albert Brooks e Ron Perlman, una brava Carey Mulligan e, dulcis in fundo, quella strafiga di Christine Hendricks, che non fa vedere neanche qua le tette, ma indubbiamente resta un belvedere.
Se non è il miglior film uscito quest'anno, poco ci manca.


Voto 8,5